Quanto continua ad accadere in Libia ai pescatori italiani perseguitati dovrebbe suscitare un fremito di sdegno. Il dittatore libico Gheddafi in spregio ad ogni norma internazionale estese le acque territoriali libiche da 12 a 74 miglia dalla costa. Ciò accadeva circa quindici anni fa ,ma il nostro governo di allora e i governi successivi non fecero sentire la propria voce in modo adeguato anche a livello internazionale per contrastare un sopruso lesivo di evidenti interessi italiani. Così cominciarono i sequestri dei pescherecci di Mazara del Vallo e veri e propri attacchi armati contro i nostri pescatori. Neppure quando Berlusconi riservò a Roma delle accoglienze totalmente fuori luogo a Gheddafi ,l’allora presidente del Consiglio pose sul tappeto la questione delle acque territoriali. Dopo la fine violenta del dittatore che qualcuno persino rimpiange ,al termine di una guerra civile fomentata soprattutto dai francesi per impossessarsi dei pozzi petroliferi, la Libia divenne un terreno di scontri tribali che solo la violenta dittatura del Colonnello teneva a bada . Sono stato in Libia durante la sua dominazione e colsi la durezza del giogo imposto, l’alto tasso di corruzione, l’arretratezza di un Paese che sotto l’Italia aveva fatto passi avanti impensabili dopo. A Tripoli quel poco di decente che restava era italiano. Gheddafi addebitava colpe all’Italia che non sono attribuibili al periodo coloniale e cacciò centinaia di migliaia di italiani residenti in Libia. Non oso pensare cosa sia oggi la Libia semidistrutta e non oso neppure ipotizzare cosa sia accaduto ai siti archeologici che l’Italia aveva ripristinato e che rappresentavano beni culturali molto importanti (pensiamo a Leptis Magna) ed attrattive turistiche di grande rilievo. Il discorso ovviamente è stato complicato e reso incandescente dai profughi, dal loro contenimento e da quelli che sono dei campi di concentramento pieni di violenze di ogni tipo. I barconi dei migranti e gli scafisti che speculano sulla vita di gente disperata è cosa troppo evidente e drammatica, per dovercisi soffermare. L’Italia ha donato alla Libia divisa in due mezzi nautici per contrastare le partenze. Soprattutto il ministro Minniti ha impostato e intessuto una politica che alcuni elogiano perché volta a contenere gli sbarchi incontrollati ed altri criticano per aver stretto accordi che violavano diritti umani. Sta di fatto che i barconi hanno preso il sopravvento su tutto e che il governo italiano, sia pure in modo un po’ confuso e contraddittorio ,ha cercato di impostare una politica verso la Libia in assenza dell’ Europa e degli USA di Trump. Il quadro è reso ancora più complicato dalle mire di Erdogan che sogna un’egemonia ottomana perduta proprio centodieci anni fa, nel 1911, quando Tripoli divenne colonia italiana. Parlare di Libia anche oggi appare difficile e nessuno può fare previsioni di sorta. La Libia è un enigma. Pensare oggi ai nostri pescatori può sembrare un discorso utopistico, infatti le stesse autorità italiane invitano a non violare, per la pesca dei celebri e prelibati gamberi rossi, le acque territoriali libiche stabilite da Gheddafi e sopravvissute alla sua morte e a tutti gli sconquassi della guerra civile. Ma io mi ostino a difendere le ragioni dell’Italia e dei pescatori siciliani che campano sulla pesca. Le prepotenze libiche non possono essere accettate. Forse è una vana speranza, ma io mi ostino ad opporre alla forza le ragioni del diritto internazionale.
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