I sogni negativi, gli incubi, erano considerati dagli antichi egiziani come delle vere e proprie malattie. Il primo riferimento agli incubi nell’antico Egitto lo abbiamo nei cosiddetti Testi di Esecrazione (del Medio Regno), iscritti su ostraka e statuine, per allontanare il nemico (pubblico dello stato ma anche privato). Il rituale di esecrazione di questi cocci poteva consistere nel distruggere o bruciare il coccio iscritto in modo tale da rendere ancora più efficace la magia del testo per depotenziare l’individuo cattivo il cui nome era riportato nella lista. Lo scopo dei Testi di Esecrazione era anche quello di allontanare gli spiriti maligni, come quelli che producono gli incubi, specie se essi ricevono ordine da vivi che maledicono un soggetto. Questi testi iniziano con un elenco di nemici pubblici dell’Egitto seguito da una lista di popoli ostili di singole regioni, seguiti da singoli individui vivi e morti ostili, assieme a un elenco di varie cose e forze negative e spiriti molesti. In uno di testi è scritto: “Tutti i cattivi discorsi, tutti i cattivi progetti, tutte le cattive evocazioni, tutte le cattive trame, tutti i cattivi complotti, tutti i cattivi combattimenti, tutti i cattivi disordini, tutti i cattivi piani, tutte le cattive cose, tutti i cattivi sogni, tutti i cattivi sonni”. Come interpretare gli incubi nel contesto dei Testi di Esecrazione dove, all’inizio delle formule, compaiono i nemici pubblici dell’Egitto? Ritner ha sostenuto che gli incubi presenti nei Testi di Esecrazioni dovessero essere dei veri e propri assalti magici orditi dai nemici pubblici dell’Egitto contro gli egiziani. Questo egittologo sosteneva che un vivo poteva far fare brutti sogni agli altri evocando potenze magiche. Altre fonti intendono i sogni come vere e proprie malattie, che potevano essere trattate con incantesimi. Il London Medical Papyrus 40 (13, 9-14) contiene l’incantesimo fatto da medici-maghi per impedire a una donna malata di vedere dei sogni, oltre a presentare incantesimi contro malattie fisiche. Il termine usato è “sogno” (e non “incubo”), ma dal contenuto del Papiro non sembra che questi sogni siano positivi. Però il primo trattamento specificatamente ideato per combattere gli incubi lo abbiamo nella raccolta privata di testi nota come Papiri del Ramesseum, tempio funerario di Ramses II a Luxor, sulla riva occidentale di Tebe. I testi sono datati al tardo Medio Regno e sono una sorta di piccola biblioteca, con opere molto diverse tra loro. Uno di questi papiri (XVI), assai frammentario, contiene una serie di incantesimi medico-magici contro i brutti sogni visti di notte. Non è previsto un medico-mago, ma è la persona stessa che ha avuto un incubo la quale pronuncia su di sé l’incantesimo. Il Libro dei sogni ramesside (Papiro Chester Beatty III – EA 10683, 2) è il testo più completo contro i brutti sogni. In un passo di questo papiro leggiamo che il sognatore invoca la dea Iside e esclama: “Scaccia tutti i malanni e le cose cattive che Seth, figlio di Nut, ha creato”. Questo Papiro tratta anche della interpretazione dei sogni, belli e brutti. Se per esempio il sognatore vede dei nomadi, significa che l’amore di un antenato morto verrà alla sua presenza (r.6.24). Se l’uomo si vede in sogno con la faccia appoggiata al pavimento, significa che qualcosa gli sarà richiesto da quelli di laggiù (r.9.14). Se un uomo vede in sogno la rimozione del proprio polpaccio, significa che gli arriverà un messaggio da coloro che sono laggiù (r.7.10). Il Papiro di Leida I 348, datato all’epoca ramesside, contiene 39 formule di vario tipo e per vari malanni, tra questi anche le “paure notturne”. Il termine egiziano usato è sndw.t, “paure” (e non rsw.t, “sogno”). Il testo è stato edito da Borghouts nel 1971. La formula n. 36 recita: “Un libro che mette fine alle paure che giungono su di un uomo durante la notte. Poni il tuo volto indietro, mentre sollevi il tuo capo, ed anche il tuo Ba, le tue forme, le tue personificazioni, la tua magia, con le tue forme e le tue trasformazioni! O spirito di uomo, spirito di donna, morto, morta, avversario, avversaria, nel cielo e sulla terra! Guarda, osserva, questo è il Signore universale assieme a Quelli-che-sono, questo è Atum, questa è Wadjet, la Signora del terrore sulla grande barca, questo è il Bambino, questo è il Signore della verità, questo è la figura di Atum sulla strada superiore, questa è la Fiamma creata da Sia, Signore del cielo! La terra è in fiamme, il cielo è in fiamme, gli uomini e gli dei sono in fiamme, mentre tu dici che ti nasconderai dal fuoco, da esso che sta arrivando – come è il suo nome in verità! Fa’ attenzione al fuoco che viene dagli dei che abitano l’Orizzonte! Parole da pronunciare davanti a questa figura, che è nella raffigurazione fatta su di un pezzo di lino, da porre sulla gola di un uomo, finché egli sia visto tranquillo”. Allo spirito maligno è ordinato di tenere la testa girata indietro: il dormiente e/o il medico-mago non devono incontrare lo sguardo della entità maligna. L’Ostrakon Gardiner 636 (H.O. 363) contiene un testo medico-magico contro i demoni. Esso è molto lacunoso ma è stato integrato con ottimi risultati: “O avversario, sta lontano da me. O morto, morta … esso non avanzerà con la testa rivolta in avanti, con gli arti come … (dal momento che) il suo cuore è per il Pasto Serale di Colui che è nel momento della forza. NN ha estratto i vostri cuori, o morti. Egli ha preso i vostri cuori, o morti o morte. Li ha offerti a Colui che attacca con forza per il bisogno delle sue membra. Proprio tu, non vivrai; queste tue membra sono le sue offerte sacrificali. Tu non sfuggirai dalle Quattro Nobili Signore, dalla fortezza di Horo che è nella città di Shenit. Da recitare sopra quattro urei fatti di argilla pura … con fiamme dalle loro bocche”. Anche in questo testo l’entità maligna non deve procedere con la testa rivolta in avanti affinché il suo sguardo non sia visibile. La prima edizione di questo ostrakon venne fatta da Gardiner e Cerny. La seconda invece da Ritner (O. Gardiner 363: A Spell Against Night Terrors, JARCE 1990, 25-41) il quale dopo la parola “urei” integrava con il riferimento a serpenti che sputano fiamme dalla bocca. I serpenti erano viste quali divinità che proteggevano contro gli spiriti maligni. Le Lettere ai Morti sono un genere della letteratura egiziana nel quale i vivi scrivono dei messaggi ai defunti per ottenere qualcosa. Queste Lettere sono scritte sui supporti più diversi, dal lino al papiro e al vasellame. Per esempio nella Lettera ai Morti redatta su una ciotola (E 6134 Louvre) una madre chiede al figlio defunto di denunciare una ingiustizia, in quanto egli si trova più vicino agli dei essendo morto, quindi può intercedere per i vivi. Infatti per gli antichi egizi il mondo dei vivi e quello dei morti è assai labile, i morti possono intrattenere ancora rapporti con i vivi, come nell’intercessione. Anche gli dei sono assai vicini agli esseri umani. Infatti nel Libro dei sogni ramesside è scritto che se un vivo si vede in sogno guardare da una finestra aperta, significa che il suo richiamo sarà ascoltato dal suo dio (r.2.24). L’indicazione della finestra in questo passaggio potrebbe riferirsi alla finestra rituale del tempio, che era una apertura che dava al pubblico l’opportunità di vedere il faraone, dio incarnato, attraverso la quale il re concedeva doni ai sudditi. Sempre in un passaggio del Libro dei sogni ramesside è scritto che se il vivo vede in sogno un fiume, significa che la sua chiamata sarà ascoltata dal suo dio (r.5.2). Pure in questo caso il riferimento al fiume può avere un’altra valenza: per gli egizi i fiumi sono anche i confini, simboli della manifestazione dell’ordine cosmico sulla terra. Pertanto il riferimento al fiume può alludere al confine che separa mondo dei vivi e mondo dei morti. Occorre dire che per gli antichi egizi l’acqua ha una grande importanza simbolica. Per esempio chi muore annegando in un fiume, ha un posto speciale nell’Oltretomba. Se da un lato gli egizi del Nuovo Regno sentono l’esigenza di chiarire il significato dei propri sogni con la produzione di testi come il Libro dei sogni ramesside, che altro non è che un manuale per la interpretazione personale dei sogni (cioè la interpretazione fai da te, infatti abbiamo prova di interpreti professionali di sogni solo in seguito, nell’età ellenistica), dall’altro lato ci sono esempi altresì di sogni che non necessitavano di interpretazione essendo molto chiari. Un esempio di sogni chiari lo abbiamo con la stele di Ipuy (Wien inv. Nr. 8390). Invece, un altro sogno chiaro è costituito dalla biografia di Djehutiemheb, sulla parete nord della cappella funeraria nella sua tomba nella necropoli dell’Asasif (TT 194). Nell’antico Egitto il sogno è il mezzo con cui l’uomo comunica con gli dei e con i defunti, i quali danno altresì una informazione esplicita. In questo caso Ipuy dice: “…Fu nel giorno in cui vidi la sua bellezza – il mio cuore trascorreva il giorno a celebrarla – che vidi in sogno la signora delle Due Terre”. Si tratta della dea Hathor. Quello di Ipuy è un sogno come visione estatica. Abbiamo a che fare con un testo non regale: invece, a differenza dei sogni regali dello stesso periodo, la stele di Ipuy ha toni assai intimistici. Infatti la dea Hathor ha grande fortuna nel culto privato degli antichi egiziani. L’espressione egiziana mA=j nb.t tA.wy m qd, “ho visto in sogno la signora delle Due Terre”, è stata assai studiata dagli egittologi. Secondo una linea interpretativa, Ipuy non sta sognando di notte, ma il sogno si riferirebbe a una apparizione diurna. Infatti le apparizioni delle divinità in sogno dovrebbero essere appannaggio del faraone, mentre Ipuy non è un faraone e nemmeno appartenente a un ceto medio alto, bensì un lavoratore addetto alla costruzione delle tombe regali. Tuttavia questa interpretazione non è certa. La verità è che la stele è danneggiata e non capiamo bene se si tratti di un sogno notturno o di un sogno diurno (apparizione, visione). Il sogno di Djehutiemheb ci mostra un rapporto ancora più intimo con la dea Hathor. Egli era scriba e sovrintendente dei campi dei templi di Amon durante la XIX dinastia.  Nel testo è esplicitato che era notte, quindi Djehutiemheb sta facendo un sogno notturno. La dea gli rivela il soprannome (Hely) e si presenta non con il simbolo della vacca sacra bensì nella forma più intima di Mw.t, “madre”. Un altro genere della letteratura egiziana è costituito dai decreti oracolari amuletici, prodotti a Tebe durante la XXI-XXII dinastia. Essi sono testimoni di una grande transizione: nel Medio Regno i sogni sono raccontati raramente, è invece dal Nuovo Regno che i sogni soprattutto quelli guaritori vanno la ribalta. I decreti oracolari amuletici si pongono nel mezzo, in un periodo nel quale i sogni cominciano a prendere piede sempre di più. Sono delle deliberazioni divine pensate per l’uso di bambini e prodotte dai sacerdoti locali del tempio. Si tratta di strisce di papiro contenenti un decreto divino precostituito: i genitori portavano il papiro e il bambino al tempio, lì inserivano il nome del bambino nel papiro a mo’ di protezione, il papiro veniva arrotolato e inserito in un supporto per essere portato al collo dal bambino come un amuleto. Si chiedeva che il bambino non avesse malattie, fosse protetto nei viaggi e dagli incontri ostili, tra cui i demoni e i defunti ostili, anche in sogno. In uno di questi testi si dice che il bambino non deve avere incubi, nei quali si palesano i demoni e i defunti ostili. Per approfondire: Edwards, Oracular Amuletic Decrees, 1960.