Sono madre di quattro figli e sono felice di averli messi al mondo ma questa è stata una scelta strettamente personale, ogni donna ha il diritto di determinare se averne o meno e la decisione deve essere sua: essere madri non è lo scopo della nostra esistenza. Forse mi attirerò le ire di molti uomini, ma non voglio essere fraintesa: i figli sono delle madri, prima di essere dei padri. Il rapporto madre creatura che porta in grembo è unico e irripetibile, così come il suo svezzamento; nessuno può obbligare una donna ad avere figli, così come nessuno può indurla ad abortire se non vuole, ma deve averne il diritto e questo diritto deve essere garantito e tutelato dalla legge. È ovvio che l’aborto non deve essere mai utilizzato come metodo anticoncezionale d’emergenza ma un paese civile deve fare sì che la scelta esista e che la donna che decida di ricorrervi possa farlo, assistita e tutelata dal servizio sanitario pubblico, insomma in condizioni igienico-sanitarie ottimali, comunque che non diventi una criminale se sceglie di farlo. Quella sull’aborto è stata per il mondo occidentale una lunga battaglia, che in Italia ha avuto il suo riconoscimento 44 anni fa, il 22 maggio 1978, quando il Parlamento votò una delle leggi più contestate nella storia dello Stato repubblicano, la 194, che depenalizzava l’interruzione volontaria di gravidanza, dava il diritto a una maternità libera e consapevole e metteva fine alla piaga dell’aborto clandestino. Un traguardo ottenuto dopo anni di battaglie femministe, di scontri ideologici che mostravano un Paese profondamente diviso, frattura che portò al referendum del 17 maggio 1981, in cui si contrapposero le richieste del Partito Radicale di Pannella, che voleva la piena liberalizzazione dell’aborto e quelle del Movimento per la vita, che avrebbe voluto che questo venisse praticato solo a fini terapeutici. Gli italiani scelsero di preservare la legge ma il dibattito, dopo 44 anni, è più vivo che mai, anche se le interruzioni di gravidanza nel nostro Paese sono in costante calo, segno di una maggiore educazione sessuale e di un innalzamento del livello culturale medio della popolazione. In questo ambito, quello che è accaduto negli Stati Uniti segna una delle più brutte pagine di inciviltà dell’epoca moderna. Negli anni Sessanta e Settanta la Corte Suprema americana, aperta alle istanze della società civile, ha rappresentato il punto di riferimento del progresso e del rispetto dei diritti non solo del suo Paese. Dalla storica sentenza del 1973, che legalizzò l’aborto, la sua onda lunga sulle battaglie femministe arrivò anche in Italia, dove nel 1975 la Corte Costituzionale depenalizzò l’aborto e si arrivò alla legge 194. Seppure in America da quella storica data non si è mai riusciti ad approvare al Congresso una legge per regolare l’IVG a livello federale, comunque per 50 anni ne è stato riconosciuto il diritto, almeno sino a due giorni fa, momento in cui la Corte Suprema ha messo fine alle garanzie costituzionali a favore dell’aborto, una controversa decisione presa dalla maggioranza conservatrice. Recita la sentenza shock: «la Costituzione non conferisce il diritto all’aborto»; ora infatti gli Stati federali possono introdurre limitazioni e divieti, a scapito dei diritti delle donne e i conservatori festeggiano. La manovra di preparazione a questa sentenza, impensabile solo pochi anni fa, è stata il coronamento di anni di lavoro da parte degli anti abortisti; rafforzata sotto la reggenza Trump, è stata resa possibile dalle nomine conservatrici dell’ex presidente, che con tre giudici apertamente contro l’aborto, ha fatto la differenza. Il Tycoon ha subito lodato la Corte, sostenendo che: «ha rispettato la Costituzione e restituito i diritti, ha seguito la volontà di Dio». L’America è sempre più spaccata in due, è stata definita infatti come un hamburger, con le due coste oceaniche abitate da Stati progressisti e paladini dei diritti civili e una sconfinata terra di mezzo, che ospita gli Stati più conservatori e retrogradi. Alla notizia della sentenza della Corte, il presidente Joe Biden ha affermato che gli Usa diventano: «una eccezione nel mondo»; il diritto all’aborto e le libertà personali peseranno molto sulle prossime elezioni di Midterm e il Presidente ha invitato gli elettori a mobilitarsi al voto di novembre per eleggere rappresentanti che possano difendere i diritti civili e le libertà individuali. Egli ha lanciato un appello al Congresso, cui passa l’ardua decisione per ripristinare la sentenza Roe v. Wade (che aveva legalizzato l’aborto nel 1973), come legge federale. Biden ha promesso che la sua amministrazione resterà vigile e ha lanciato un appello agli attivisti pro-aborto perché le proteste restino pacifiche. Per lenire gli effetti devastanti della sentenza ha conferito mandato per garantire l’accesso alla pillola abortiva ed altri farmaci approvati dalla Food and Drug Administration, che permettono di porre rimedio nei primi giorni dal concepimento. Che cosa accadrà ora alle vittime di stupro, alle donne che scoprono di aspettare un figlio gravemente malformato e a quelle che non hanno le risorse emotive o economiche per diventare madri? La vita è un dono grandissimo e siamo fortunati ad averlo ricevuto ma deve essere vissuta con dignità, consapevolezza e secondo le proprie possibilità. Corro nuovamente il rischio di venire fraintesa, non sono una sostenitrice dell’Eugenetica e non sono per l’aborto selettivo, triste pratica che accomuna molti Paesi del mondo, anche nella “civile” Europa”, in cui le donne e le famiglie scelgono di abortire quando scoprono che il feto è femmina, ma sono una fervente sostenitrice del diritto all’autodeterminazione, nel rispetto di sé e degli altri. La scelta deve essere garantita dalle leggi di un paese civile, lasciando alla coscienza di ognuno i travagli morali e gli eventuali sensi di colpa che ne possono derivare, relegando la cosa allo stretto ambito personale e non ad una questione ideologica facilmente strumentalizzabile. Il mio appello alle donne è di essere accorte e consapevoli, quando possono, e di non ricorrere all’aborto come atto riparatore di una disattenzione – in una delle sue canzoni De André diceva: «la voglia passa e il figlio rimane…» – ma quando la gravidanza non è una loro scelta o il bambino ha dei grossi problemi di salute, che ne minerebbero pesantemente la sopravvivenza, devono potersi sentire assistite da uno Stato attento e presente, che non abbandona nessuno dei suoi cittadini e in cui nessuno vale meno di qualcun altro.