Ricordando la fastosità con cui celebrammo in tutto il Paese i 150 anni dell’Unità d’Italia, confesso che mi sarei aspettato qualche sforzo in più per commemorare lo scorso anno – a 150 anni dalla morte- Giuseppe Mazzini: l’ideologo perennemente incompreso (ma sempre opportunisticamente sfruttato), colui che definì le basi etiche della nostra repubblica.
Dei quattro protagonisti del Risorgimento, Mazzini dovette vivere il suo sogno da esule, persino da rinnegato, o “magnifico perdente“, come recita il titolo di un bel romanzo di Sonia Morganti a lui dedicato. Non si può certo dire che gli altri procedessero in armonia verso la strada che li portò a raggiungere lo storico traguardo: Vittorio Emanuele e Cavour si detestavano, ma condividevano l’odio per Mazzini… e la tragica prematura morte del Conte ce ne risparmiò le possibili conseguenze. Garibaldi -inizialmente seguace di Mazzini – abbandonò il sogno repubblicano per unire l’Italia sotto la monarchia, ma mai perdonò a Cavour la cessione di Nizza, sua città natale. Nell’aula del Parlamento Subalpino a Palazzo Carignano ancora riecheggiano le pesanti parole rivolte a Cavour dal neo deputato Giuseppe Garibaldi, appena eletto nel collegio di Nizza, che, quand’egli giunse all’emiciclo, non era più italiana…
…Palazzo Carignano, appunto: qui -dove Vittorio Emanuele II nacque, il Conte Camillo Benso di Cavour lavorò intensamente e Garibaldi fieramente inveì- ha sede il Museo Nazionale del Risorgimento, che purtroppo a Mazzini dedica ben poco spazio e considerazione. Da questa istituzione, almeno in occasione dell’anniversario, confidavo un qualche risarcimento postumo, magari nelle sale riservate alle mostre temporanee, che invece ho trovato occupate da un colorato collage di immagini dedicate al fenomeno di Garibaldi (nel 2022 ricorrevano i 140 anni dalla sua morte) “Icona Pop“: l’Eroe dei due Mondi rappresentato come fenomeno di marketing e brand pubblicitario, insomma.
Questa premessa rende ancor più meritevole l’iniziativa del direttore/fondatore del Centro Studi Mario Pannunzio di Torino Pier Franco Quaglieni, che ha curato la riedizione del saggio sui “I Doveri dell’Uomo“, pubblicato dalla Casa Editrice Pedrini proprio in occasione dei 150 anni dalla morte di Mazzini.
Quaglieni nel libro ci fa subito notare come la scelta di ricordare in questo modo Giuseppe Mazzini si riveli sempre attuale: lo fu nel centenario, quando già cinquant’anni fa il Centro Pannunzio -allora presieduto da Arrigo Olivetti- decise di promuovere un convegno incentrato sul tema “Mazzini e il marxismo“, una cultura che ai tempi esercitava forte egemonia soprattutto negli ambienti universitari. Il convegno, purtroppo, saltò a causa di elezioni anticipate (allora, come oggi, guarda caso) che distrassero uno degli illustri relatori -Giovanni Spadolini- eletto senatore e “volato” ad altri lidi, quelli che poi segnarono la sua carriera politica.
Il tema scelto era accattivante: Mazzini e Marx si conobbero a Londra, dove erano vicini di casa, e inizialmente sembrava potesse nascere ta loro un’intesa, ma molto presto le posizioni si allontanarono. Ancora nel 1972, ci ricorda Quaglieni, l’ “intellighenzia” imperante filo marxista seguiva le tesi gramsciane che ritenevano Mazzini un “utopista impolitico” che “aveva totalmente svalutato i limiti del marxismo – leninismo e della sua realizzazione storica in Russia che il suo sodale Gobetti aveva definito una “rivoluzione liberale”. Gobetti giunse a teorizzare che Mazzini andasse sostituito da Marx, un’affermazione che lasciò dubbioso anche il gobettiano Norberto Bobbio che aveva rivolto la sua attenzione più a Cattaneo che a Mazzini in un raffinatissimo saggio dedicato alla cultura militante”.
Va detto che Michail Bakunin definì Mazzini “l’essere umano più nobile e più puro che io abbia incontrato in tutta la mia vita“.
Ed ora ci troviamo a dar ragione a Giuseppe Mazzini, troppo spesso inascoltato e troppo poco rivalutato.
Nel saggio pubblicato da Pedrini possiamo leggere un inedito di Renzo De Felice che rimase nell’archivio dei lavori preparatori del convegno: “Mazzini e il Socialismo“, anche queste righe si rivelano adesso premonitorie.
A 150 anni dalla morte, il pensiero di Mazzini potrebbe essere richiamato per contrastare il fenomeno del nazionalismo populista che tanta presa ha nella pubblica opinione.
Mazzini, meglio di ogni altro, seppe interpretare la differenza fra patriottismo e nazionalismo. In una lettera del 1861 ad un corrispondente tedesco scrisse: “chi fa la santa parola di Nazionalità sinonimo d’un gretto geloso ostile nazionalismo commette lo stesso errore di chi confonde religione e superstizione”.
Per “gretto nazionalismo” -scrive maurizio Viroli- “Mazzini intende la perversione del principio di nazionalità”. Il valore della nazionalità degenera in meschino nazionalismo quando si trascura il principio che «la libertà d’un popolo non può vincere e durare se non nella fede che dichiara il diritto di tutti alla libertà».
“La Patria é una comunione di liberi e d’uguali affratellati in concordia di lavori verso un unico fine. Voi dovete farla e mantenerla tale. La Patria non é un aggregato, é una associazione. Non v’é dunque veramente Patria senza un Diritto uniforme. Non v’é Patria dove l’uniformità di quel Diritto é violata dall’esistenza di caste, di privilegi, d’ineguaglianze dove l’attività d’una porzione delle forze e facoltà individuale é cancellata“, leggeremo nel saggio sui Doveri.
Recensendo l’ultimo libro di Pier Franco Quaglieni, “La Passione per la Libertà“, scrissi di “un capitolo che non c’è“, ma del cui spirito tutto il libro è permeato. Il saggio è stato redatto in periodo di piena pandemia, quando le nostre libertà venivano spesso limitate dalle responsabilità che avremmo dovuto assumerci per tutelare la salute nostra e dell’intera comunità. “Libertà significa anche responsabilità”: è un concetto ben chiaro a Quaglieni nelle considerazioni che andava stilando. La pubblicazione de “I Doveri dell’Uomo” sembra essere la naturale continuazione del suo percorso di autentico e irreprensibile storico liberale.
Quando Mazzini, nel 1860, pubblicò “I Doveri dell’Uomo” si rendeva naturalmente conto che scrivere di doveri costituiva un argomento impopolare nell’epoca dei “droits“: “un mezzo aleatorio, difficile da proporre a un movimento politico -cito Sauro Mattarelli- non perché fosse superato, ma, semmai, perché si guardava troppo avanti, a una società ideale che non c’era. Erano richieste consapevolezze e responsabilità che raramente si trovano nelle persone; ma, soprattutto, questa teoria si basava (e si basa) su una prospettiva che rompeva con gli schemi concettuali a cui siamo abituati“. E anche oggi potremmo dire lo stesso.
Che Mazzini fosse un utile strumento di propaganda valido per tutte le stagioni lo dimostra l’utilizzo che della sua opera e del suo pensiero è stato fatto nei decenni seguenti la morte: “I Doveri dell’Uomo” venne adottato nella scuola di inizio ‘900 come testo obbligatorio, ma purgato di quelle parti che potevano infastidire la monarchia; il suo pensiero -radicalmente cambiato nelle premesse e profondamente falsificato – passò come base fondativa della dottrina fascista, principalmente tramite il lavoro del filosofo Giovanni Gentile e del giurista Alfredo Rocco, tanto che l’opera originale fu bandita dall’Italia fascista; Luigi Einaudi teneva in bella mostra sulla sua scrivania una lettera autografa di Giuseppe Mazzini “al quale si ispirò per il suo settennato soprattutto nella dimensione del senso educativo che l’istituzione repubblicana comportava” (parole di Carlo Azeglio Ciampi), ma forse anche per mostrare la sua fede all’istituzione repubblicana, lui che aveva votato per la monarchia; Carlo Calenda apre e chiude il suo ultimo libro “La Libertà che non Libera” con citazioni de “I Doveri dell’Uomo“, opera che dichiara essere fonte primaria di ispirazione per la sua attività politica…. Mazzini, insomma, può sempre venire in soccorso per giustificare, corroborare, legittimare e persino indirizzare l’opinione che si vuol comunicare ad interlocutori più o meno autorevoli. Troppo spesso, però, si tratta di citazioni abusive e abusate, stravolte dalla mancanza di quel senso etico che Giuseppe Mazzini seppe dimostrare con la sua esistenza esemplare.
“Perché vi parlo io dei vostri doveri prima di parlarvi dei vostri diritti? Perché, in una società dove tutti, volontariamente o involontariamente, vi opprimono, dove l’esercizio di tutti i diritti che appartengono all’uomo vi è costantemente rapito, dove tutte le infelicità sono per voi e ciò che si chiama felicità è per gli uomini dell’altre classi, vi parlo io di sacrificio e non di conquista? Di virtù, di miglioramento morale, d’educazione, e non di benessere materiale? È questione che debbo mettere in chiaro, prima di andare innanzi...” Scrive Mazzini, “Libertà vera non esiste senza eguaglianza, e l’eguaglianza non può esistere fra chi non move da una base, da un principio comune, da una coscienza uniforme del Dovere“, aggiungerà.
Con questo spirito abbiamo riletto “I Doveri dell’Uomo” consapevoli del pensiero di un uomo che è sempre stato avanti.
Troppo avanti per essere attuale