Che la festa della Repubblica coincida con l’anniversario della morte di Giuseppe Garibaldi è un fatto del tutto casuale, ma non lo sarebbe quest’anno che coincide con il CXL della morte dell’eroe dei due mondi. In passato in Italia non si doveva parlar male di Garibaldi, oggi non ne parlano neppure più i massoni a cui Garibaldi prestò il suo prestigio come gran maestro. Eppure Garibaldi è stato un protagonista attivo e decisivo del Risorgimento non solo per la spedizione dei Mille. Non era un politico, ma un uomo d’azione che rinunciò alle idee repubblicane per realizzare concretamente il Risorgimento, vedendo come unica soluzione all’Unità d’Italia la monarchia costituzionale di Vittorio Emanuele e la diplomazia di Cavour con cui non ebbe mai buoni rapporti. Fu l’anima popolare del Risorgimento che smentisce in modo netto le tesi gobettiane e gramsciane che vedevano nel Risorgimento un fallimento. Una visione distruttiva che neppure l’oppositore Mazzini vide perché in Mazzini ardeva l’amore per la patria. Garibaldi non era un uomo colto e si azzardò a scrivere delle pagine che sono la sua parte peggiore perché si lasciò trascinare sul piano di un anticlericalismo volgare. Non capì che Roma doveva diventare capitale per via diplomatica e non con un’azione come quella fermata ad Aspromonte e a Mentana Il rischio era quello di far cadere nel nulla lo sforzo titanico, come disse Salvemini, di costruire il nuovo Stato che era fragilissimo ed internazionalmente isolato. Ma Garibaldi che combatte per la liberazione dei popoli oppressi ed è protagonista delle guerre per l’indipendenza e della difesa della Repubblica romana è l’esempio di un grande, appassionato italiano di cui si è perso il conio. E’ un uomo che ha posto la sua vita al servizio della libertà e della Patria, in difesa della dignità dei popoli. Non c’è da stupirsi se il giornalista Paolo Mieli che si picca di essere uno storico senza esserlo, ha consentito ad una fresca ed arrogante laureata di parlare a Rai storia dell’appoggio a Garibaldi da parte della protomafia in Sicilia, non potendo più ripetere le accuse a Bixio per Bronte. Acclamato dalla folla romana, Garibaldi si rivolse ai suoi sostenitori da un balcone, dicendo: ”Romani, siate seri!“ Estendendolo a tutti gli Italiani, quell’invito dell’uomo che si era ritirato a Caprera, appare più che mai attuale oggi.
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