Il 1  luglio 2020 – nel silenzio assordante delle cancellerie  internazionali – la libertà ad Hong Kong  è morta con l’approvazione di una legge liberticida approvata da Pechino, che abolisce ogni diritto di manifestare, di costituire associazioni o partiti, con pene che vanno da dieci anni di carcere duro all’ergastolo.
Joskua Wong, leader della rivoluzione degli ombrelli, ha deciso di sciogliere il suo partito per evitare l’accusa di essere un sovversivo. Le elezioni del prossimo 6 settembre saranno una  mera finzione.
Il comunismo cinese ha mostrato ancora una volta il suo volto arcigno. Non solo ci hanno inondato con la pandemia, ma si rivelano incompatibili con le norme minime della convivenza civile e democratica. Il comunismo non è morto, anche se si è coniugato con il liberismo più sfrenato. Da oggi abbiamo il dovere di dirci anticomunisti, di tornare a dichiararci tali ,senza ambiguità.
Da oggi dobbiamo pretendere che i governi democratici europei condannino la Cina e boicottino i prodotti cinesi.
Forse bisognerebbe pensare di ritirare l’ambasciatore italiano a Pechino e di interrompere la via della seta che il nostro governo ha intrapreso. Tutti si concentrano sul Cairo, ma il dramma della libertà calpestata ci porta a Pechino .La libertà è un valore che non ha prezzo e va sempre difesa con tutte le forze. Nessun interesse economico può essere barattato con il soffocamento  la libertà.
Oggi dobbiamo sentirci tutti cittadini di Hong Kong, come Kennedy nel 1963 si dichiarò berlinese.