Penserete ad una battuta e invece no! E’ esattamente quello che possiamo leggere all’interno di un antico e prezioso volume di ricette che porta la data di stampa del 1878. La cuciniera universale, ossia l’Arte di spendere poco e mangiar bene. Già il sottotitolo è un programma di democrazia del palato, ma poi aggiunge: secondo il metodo delle cucine Triestina, Milanese, Veneziana, Piemontese, Tedesca, Francese, Inglese, Spagnola, Turca, Chinese, Americana ecc. ecc.
Deduciamo che l’autore – a meno di inventarsi seduta stante qualche continente – aveva annoverato tutto, ma proprio tutto, ciò che riteneva degno di essere menzionato delle cucine dell’epoca. E anche l’ordine delle località ci dice qualche cosa: stampato a Venezia – Trieste non poteva non annoverare fra le prime proprio le città che, evidentemente, il provetto cuoco-scrittore conosceva meglio. Originando un curioso “giro del mondo” venetocentrico!
Altra cosa molto comune nei ricettari, sin dal Medioevo, il nome dell’autore non è indicato. Non serviva: dopotutto si trattava di un modesto libriccino che proponeva delle ricette e alla fine dell’Ottocento ciò era ancora una pratica consolidata; fatte alcune famose eccezioni come il Trattato di cucina del piemontese Vialardi del 1824 o dei genovesi Ratto, padre e figlio, autori della Cuciniera genovese, pubblicata nel 1893.
Già dall’Introduzione l’anonimo cuoco specifica senza indugi che non intende mica trattare la cucina piena di ricercatezze e prodigalità, nossignore. Bensì quella delle buone e brave massaje perché possano imparare a cucinare le vivande semplici e buone. Ci fidiamo senza meno.
Ma quindi, queste ricette? possibile che davvero parli di formaggio di maiale? Abbiamo le testimonianze fotografiche!
Saltando subito al capitolo “Majale e porcelletto”, troviamo infatti il procedimento per far la testa di maiale e dopo, eccola: la ricetta che ha dato il titolo a questa nostra chiacchierata: Formaggio di majale.
Sì perché dopo aver disossata la testa vi vien proposto di tagliar sottili le carni ricavate, poi la lingua e le orecchie; le cotenne in disparte e poi vanno condite. Condite? ma certo: pepe, sale, spezie in polvere (quali spezie non è dato a sapere), timo e lauro tagliati e pesti con un pizzico di cipolline. Poi si avvolgono le carni in un lino e si fanno cuocere quelle sette, otto ore. Dopo questo tempo si sgocciolano le carni e si inseriscono in una casseruola dove avrete già sistemate le cotenne. E poi? Cuoprite il tutto con un coperchio che entri precisamente nella forma e sul quale sovrapporrete un peso abbastanza grave all’uopo di premere le carni finché sono calde, empiendo in tal guisa tutti i vuoti. Così dice l’anonimo e per carità, fate che non siano i vostri gomiti, che vi stanchereste in fretta e il risultato non ve lo possiamo garantire!
E poi? Una volta raffreddate le carni andranno estratte dalla forma (o dalla casseruola). “Ma questo formaggio? Allora?” vi chiederete. E avete ben ragione perché sino a questo punto si tratta di una normale coppa di testa, solo circondata da un abbraccio di cotenna. Sicché leggiamo: Fate quindi una crostata di pane, con cui attornierete questo formaggio e copritelo da ogni parte con prezzemolo finemente triturato. L’arcano è svelato. Voi (ma è il caso di dire noi), attendevate chissà quale commistione di carni di maiale e tome, gruvierini o maccagni… e invece no! Formaggio è la definizione che il provetto cuoco-scrittore usa per indicare il trito delle carni. Il maiale cotto e tagliato è il formaggio.
La riprova arriva subito dopo con un’altra ricetta (era davvero un secolo ben distante da noi, e le frattaglie (santi Uomini!) avevano un ruolo di grande rilievo): Formaggio d’Italia o Fegato di majale in formaggio. Recidivo l’autore! cosa ci suggerisce di fare? Lo leggiamo immediatamente: Prendete circa tre libbre di fegato di majale, due libbre di lardo e mezza libbra di sugna. Tritate in minuzzoli il tutto; condite di sale, pepe, spezie, timo, lauro, cippollette, un pizzico di salvia, ogni cosa pesta e tritata finemente. Guernite una casseruola di sottilissime strisce di lardo, in maniera che il fegato non possa attaccarsi alla forma; ponetevi per tre dita grosso l’infarcito preparato, poi lardelle condite, di contro alle quali rimetterete alternativamente altre tre dita di farcite, poi di nuovo lardelle, e così di seguito fino a che la forma o casseruola sia piena. Cuoprite il tutto di sottili strisce di lardo e fate cuocere in forno per tre ore. Lasciate che questo formaggio si raffreddi. Formaggio. Forma, assemblaggio di carni. Ecco cosa si intendeva. E voi? che formaggio di salami volete fare?