“Il fascismo n Italia non è nato con le grandi adunate da migliaia di persone. E’ nato ai bordi di un marciapiede qualunque, con la vittima di un pestaggio per motivi politici che è stata lasciata a se stessa da passanti indifferenti. ’Odio gli indifferenti’ diceva un grande italiano, Antonio Gramsci, che i fascisti chiusero in carcere fino alla morte, impauriti come conigli dalla forza delle sue idee”. Così si è espressa, secondo quanto si apprende dai giornali, in una lettera aperta indirizzata agli studenti del Liceo “Leonardo da Vinci” di cui è dirigente, la preside Annalisa Savino, dopo il pestaggio in stile squadristico ai danni di due studenti del liceo fiorentino “Michelangiolo”. Per certi versi può discutersi se ci sia o non ci sia il rischio di un ritorno al fascismo. E su questo punto io credo che ognuno di noi sia libero di esprimere il proprio parere, usando agli altri la cortesia di rendere il più possibile “ragionato” tale parere. Se ci si riferisce al ritorno di quel fascismo che, nato poco più di cento anni fa, è stato poi travolto dalla guerra di Liberazione, è chiaro che questo rischio non c’è. Non ci sono più gli otto milioni di baionette, il passo dell’oca, l’orbace e altri simboli di quel fascismo che appartiene al passato. Anche il volto truce e la mascella volitiva del dittatore e il manganello dei suoi scherani possono mancare. Il volto diventando più “gentile” nei tratti e il manganello accarezzando più morbidamente, in apparenza, la schiena dei dissidenti che vengono zittiti comunque malamente, magari additandoli alla pubblica opinione come diversi, cioè visionari o incompetenti. Bisogna però ammettere che una deriva menefreghista è nell’aria, come dimostrano le recenti elezioni, come è anche nell’aria un certo autoritarismo che, a giudizio di tanti, dal cui parere mi permetto di dissociarmi, ci vorrebbe pure per un popolo indisciplinato. Come se fosse facile liberarsi poi di chi invoca pieni poteri. L’italiano d’oggi non è razzista nel senso che si fa scrupolo di dirsi seguace convinto dei teorici del razzismo ma poi lo è nei fatti e in modo grave perché non ha nemmeno imparato che non tutti gli italiani hanno oggi la pelle bianca e considera forestieri e “clandestini” tutti coloro che all’aspetto gli appaiono diversi. C’è perfino chi ritiene suo diritto richiedere i documenti a chi non appartenga alla sua razza. Circa tre anni fa ho avuto una discussione con un giovanotto, a questo riguardo r posso garantire che fatti del genere accadono! Altro che spirito d’accoglienza! Altro che maturo senso civico! Tutto questo significa che il rischio di rigurgiti fascisti o pseudofascisti c’è, e bisogna prenderne atto. Tornando a quanto sostiene la preside Savino nella lettera agli studenti del suo liceo, mi pare si tratti di una valutazione dei fatti accaduti che, per quanto possa a qualcuno apparire (del tutto legittimamente) opinabile, è, sotto il profilo della ricostruzione storica, senz’altro apprezzabile. Da che cosa nacquero allora le adunate oceaniche che vediamo nei cinegiornali d’epoca a piazza Venezia? Certamente non dal nulla. La tesi proposta dalla preside Savino è molto interessante perché spiega la relazione tra i pestaggi delle cosiddette squadracce e il riversarsi di una folla anonima (e nullafacente) che ritualmente rende omaggio a un capo. Il riferimento a Antonio Gramsci è sicuramente calzante, tenuto conto del parere che su di lui espresse Mussolini, il quale avrebbe detto “bisogna impedire a quel cervello di pensare”. Sì, perché chi pensa fa paura. Aggiungerò che durante i primi anni della dittatura fascista un certo Piero Gobetti sostenne che l’italiano paga le tasse “bestemmiando lo Stato”, vizio che nel tempo si è radicato, nonostante la metafora della barca a cui ricorse ai tempi della rinascita democratica Piero Calamandrei per spiegare a tutti noi quali siano gli obblighi dei cittadini, i quali devono rassegnarsi a remare tutti per consentire al barcone di stare a galla. Oggi i grandi evasori fiscali, per colpa dei quali lo Stato non può spendere più di tanto per rendere efficienti il sistema sanitario, quello scolastico e quello carcerario e dare più agilità alla complessa macchina della giustizia, non hanno evidentemente voglia di lavorare e pensano che il loro nobile compito sociale sia quello di dar lavoro ad altri, come se questo fosse possibile senza un sincero impegno volto all’utile sociale. A questo punto remare per sé può essere indice di quella somma indifferenza per cui si finisce col remare contro. Chi finanziò il fascismo nel primo dopoguerra? Basta aprire qualsiasi libro di storia per trovare la risposta. E nel frattempo, povertà, guerre e carestie avanzano travolgendo lo spirito di quella modernità che, nel passaggio tra Ottocento e Novecento sembrava essere riuscita a creare un’economia di pace in Europa. Non era vero. La guerra era stata fatta semplicemente migrare altrove. E l’Europa si armò nuovamente per l’utile esclusivo di chi fabbrica e vende armi.
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