“Il dio è giorno-notte, inverno-estate, guerra-pace, sazietà-fame. Egli subisce mutazioni come il fuoco, quando si mescola con gli aromi, ed è chiamato secondo l’aroma di ciascuno.”[1] L’autore di queste parole è il filosofo Eraclito di Efeso, vissuto tra il VI e V secolo a.C. e noto come l’oscuro di Efeso. Infatti il frammento appena riportato si caratterizza per la sua oscurità. Sembra che di questa opinione fosse anche il re Dario di Persia che si era fatto tradurre lo scritto Sulla natura di Eraclito, secondo quanto riporta Diogene Laerzio. Seguendo le parole del filosofo possiamo dire che dio è la relazione di conflitto reciproca che caratterizza gli opposti: il giorno, la notte, l’inverno, l’estate. In un altro celebre passo Eraclito sostiene che “Il Conflitto (pólemos) è padre di tutte le cose e di tutte re; gli uni li ha fatti essere dei, gli altri uomini, gli uni schiavi e gli altri liberi.”[2]
Per il filosofo sia la natura sia la realtà sociale sono generate dal conflitto, quella forza che egli chiama logos-fuoco. Non è dunque la pace che genera le cose, ma il rapporto conflittuale tra gli opposti, la tensione tra gli opposti. Non stupisce che questa visione abbia attratto pensatori così diversi quali Hegel, Nietzsche, Spengler, tutti convinti che il conflitto, la lotta costituiscano la nostra realtà. L’elemento naturale che opera attraverso il conflitto è il fuoco. Questa è un’altra affermazione che sfuma nell’oscurità: il fuoco dobbiamo intenderlo come metafora di cui noi potremmo fare a meno dicendo semplicemente che la realtà è pensabile logicamente come conflitto fra gli opposti. Questa affermazione, tuttavia, sarebbe in parte un errore: il greco arcaico non conosce l’uso delle metafore. Il fuoco è il logos e il logos è fuoco ed entrambi sono guerra tra elementi opposti; il divenire delle cose naturali ed umane consiste nel movimento, nella trasformazione che avviene grazie al logos. L’uomo contemporaneo solitamente ha della guerra un’immagine negativa che ci deriva dal pensiero del XVIII secolo intendendo la guerra come distruzione reciproca; per questo egli trova paradossale che un grande pensatore arcaico la dichiari “fonte” di tutte le cose; la traduzione della parola pólemos è guerra anche se tale termine è traducibile con la parola conflitto e, alla luce degli insegnamenti di Norberto Bobbio, la guerra rappresenta solo un aspetto possibile del conflitto ovvero il momento in cui la tensione tra visioni ed interessi opposti nel mondo umano abbandona il confronto attraverso la parola per assumere la forma del conflitto armato. Il conflitto, nell’immaginario collettivo, è l’espressione della modalità del rapporto fra gli esseri umani se non che Eraclito ritiene che anche le realtà naturali vivano di conflitto; in questa visione era stato preceduto da Anassimandro di Mileto secondo il quale la realtà chiamata mondo nasceva dal conflitto degli opposti: caldo e freddo, secco e umido e da Empedocle di Agrigento che vedeva nel mondo la lotta fra l’odio e l’amore. Platone stesso, successivamente, considererà la realtà ideale come fondata sul rapporto fra l’identico e il diverso. Anche Aristotele confermerà questa tipologia di rapporto nel momento in cui si soffermerà sul principio di “non-contraddizione” come base del “principio di identità”.
Il pensiero moderno con Hegel ha concepito il conflitto fra l’identico e il diverso come motore della storia del pensiero e della storia politica. Alla luce di queste considerazioni il pensiero di Eraclito non appare così estraneo alla nostra esperienza di eredi della modernità e come eredi della modernità ci troviamo di fronte a un compito: come governare convenientemente il conflitto. La tradizione filosofica, a cominciare da Platone, ha attribuito ad Eraclito lo stereotipo di filosofo del divenire di tutte le cose. La famosa espressione panta rei, “tutto scorre”, non è però da attribuire al filosofo di Efeso in quanto non compare negli aforismi a noi pervenuti. Cambiano, in riferimento all’espressione panta rei sottolinea che essa “… rappresenta soltanto un aspetto del pensiero di Eraclito, strettamente connesso alla concezione dell’identità dinamica degli opposti”.[3]
Platone, nel dialogo Cratilo, sottolinea il problema del divenire in queste parole: “Eraclito dice che tutte le cose si muovono [pánta chorèi] e niente permane e, paragonando le cose che sono alla corrente di un fiume, dice che non puoi entrare due volte nello stesso fiume”.[4]
Il tema del divenire, riferito alla metafora del fiume che emerge nel dialogo platonico, suggerisce una certa cautela interpretativa. Questo aforisma corrisponde al frammento 91 in cui si precisa che “Non si può discendere due volte nel medesimo fiume, secondo Eraclito, e non si può toccare due volte una sostanza mortale nel medesimo stato…”.[5]
Plutarco biografo, filosofo e scrittore del I secolo d. C. riporta il frammento 91 come attestato da Abbagnano nel testo La filosofia antica.[6]
L’impossibilità a entrare per due volte nello stesso fiume, secondo il parere di Giannantoni, non rappresenta tanto “…il motivo del fluire delle acque, come simbolo del divenire di tutte le cose, quanto il tipico motivo dell’opposizione tra la cosa (le acque che sono sempre diverse) e il suo nome (che è sempre lo stesso) …”; se si accetta questa tipologia interpretativa, già ventilata da Seneca, allora si può affermare che “… il motivo fondamentale della filosofia eraclitea è quello dell’unità e opposizione di tutte le cose”.[7]
La ricognizione dei testi del filosofo di Efeso consente di individuare una netta contrapposizione fra la concezione dell’essere di Parmenide descritto come unico, eterno, ingenerato, immutabile, finito e l’essere di Eraclito caratterizzato dal divenire e dalla molteplicità. Un altro stereotipo che ha delineato i contorni della figura di Eraclito è quello di essere un uomo dalla visione del mondo aristocratica basata sulla ineguaglianza tra gli uomini; Diogene Laerzio riporta un famoso epigramma: “La mia opera non è per voi,
ma per quelli che mi intendono. Un solo uomo vale per me trentamila, la massa senza numero per me non fa neppure un uomo.”[8]
Platone nel testo Repubblica (libri VIII e IX), affrontando il tema della origine della tirannide e il tema della analisi psicologica del tiranno, cita l’aforisma di Eraclito “Il carattere è il demone per l’uomo”: carattere che significa governare sé stessi e le proprie passioni in presenza del buon demone che aiuta a governare le passioni.[9]
Questa preferenza aristocratica, attribuita al filosofo, è sostanziata dalla sua convinzione che soltanto i filosofi potessero avere gli strumenti per giungere alla conoscenza e alla verità. Due categorie di persone si fronteggiano nel mondo eracliteo: gli uomini svegli, rappresentati da una esigua minoranza di cui i filosofi fanno parte e gli uomini dormienti che sono l’espressione della stragrande maggioranza degli individui che non hanno gli strumenti per cercare la verità, condizionati come sono dalla fallacità del senso comune. Sotto il profilo antropologico si potrebbe affermare che Eraclito ha vissuto il suo percorso di vita in una dimensione solipsistica senza ricorrere a modelli politici concreti. “Ho investigato me stesso”[10] riflette una ricerca solitaria che coinvolge la propria sfera individuale prima di rivolgere la sua attenzione verso la realtà. Una dimensione individuale che, attraverso la ricerca della vera conoscenza, assume una valenza anagogica fino a diventare un “idealtipo” di stampo weberiano, una idea in senso platonico, una forma in senso aristotelico: l’individuo si trasforma in un universale.
1 I Presocratici, Prima traduzione integrale con testi originali a fronte delle testimonianze e dei frammenti nella raccolta di H. Diels e W. Kranz, a cura di Giovanni Reale. Giunti Editore/Bompiani, Firenze-Milano, 2017, fr. 67, p. 357.
[2] I Presocratici, testo già cit., fr. 53, p. 353.
[3] Cambiano G., Storia della filosofia antica, Editori Laterza-GLF, Roma-Bari, 2012, p 15.
[4] Platone, Cratilo, 402, 8-10, trad. ital. di Francesco Aronadio, Laterza, Roma-Bari, 1996, pp. 48-49.
[5] I Presocratici, testo già cit., fr. 91, p. 363.
[6] Fr. 91., Plutarco, De E., 18, 392b in La filosofia antica. Antologia di testi a cura di Nicola Abbagnano, Editori Laterza, Bari 1963, p. 21.
[7] Giannantoni G, Profilo di storia della filosofia, vol. I, Loescher, Torino, 1969, p. 22.
[8] Diogene Laerzio, Vite dei filosofi, vol. II, a cura di Marcello Gigante, GLF Editori Laterza, Roma-Bari, 2004, p. 358.
[9] Ingravalle F. Gandolfi G., La scuola dei politici. Politica e scienza della politica in Platone e nell’antica Accademia. Aracne editrice, Canterano (RM), 2020, p. 36.
[10] I Presocratici, testo già cit., fr. 101, p. 365.