La sensazione di non essere brave abbastanza, di non meritare i successi, i risultati ottenuti, pensare che tutto sia avvenuto per caso o che gli astri siano stati dalla nostra parte, è questa la “sindrome dell’impostore”, una trappola mentale che ci costringe all’interno di gabbie ideali e credenze di genere, una patologia sociale e culturale identificata negli anni ’70 da due studiose americane, Pauline Rose Clance e Suzanne Imes, che ancora oggi, purtroppo, affligge il mondo femminile. Questo complesso di sintomi è il frutto di una serie di condizioni, come una educazione ancora incorniciata in ruoli limitati e limitanti o una minore considerazione nel mondo del lavoro in termini di incarichi e riconoscimenti economici.  In questo libro “E se poi mi scoprono” la giornalista Elisabeth Cadoce e la psicoterapeuta Anne De Montarlot, in una combinazione di ricerche scientifiche, interviste e storie personali raccontano da dove viene questa antica mancanza di fiducia, come si manifesta, come si vive e in che modo si può superare. La cosa importante è saperla riconoscere, perché come sempre la consapevolezza è uno strumento necessario per provare ad uscire da situazioni e condizioni di disagio che non permettono di vivere appieno la vita. Nella prefazione Ester Viola parla di una sindrome “a cui voler bene” e che spesso può costituire uno strumento utile, ovviamente se delimitata e ben utilizzata, a raggiungere i nostri obiettivi nonostante i risvolti negativi che questa produce sulla nostra esistenza e il senso di inadeguatezza che crea nel pensare, ad esempio, che potevamo fare meglio. Anche Cesare Pavese era avvolto da questa insicurezza cronica e affermava che “nella vita ci si accorge che i momenti migliori li abbiamo avuti per sbaglio” e ancora si chiedeva “come mi autorizzo ad essere felice per me?” È colpa della non-fiducia avuta da piccoli? Di un incidente di percorso che ha fatto cambiare la percezione di noi stessi? Probabilmente una combinazione di situazioni che ci hanno auto-sottoposto a critiche severe e all’amore condizionato verso noi stessi. Considerato però che questa compagna di vita non andrà mai via totalmente “non resta che tenersela” provando a conviverci. Ma come? Sicuramente la lettura di questo libro, intenso di contenuti e di informazioni di supporto, può servire a conoscere approfonditamente di cosa parliamo e ci fa acquisire le basi per gestire “l’impostura” senza combatterla o tentare esclusivamente di allontanarla. Certamente è necessario imparare ad essere gentili con noi stesse e a non vivere in funzione del giudizio o della approvazione altrui. Noi donne, infatti, dovremmo essere maggiormente capaci di accettarci, di perdonarci e di non farci travolgere dai sensi di colpa, dall’ossessione di poter fare sempre meglio lasciando spazio, al contrario, alla fiducia e alla compassionevole consapevolezza che nessuna di noi è bionica e che la volontà di migliorare non deve accompagnarsi alla costante paura di fallire, che piacere e compiacere tutti non è possibile. A fine libro troviamo dei suggerimenti davvero utili che comprendono anche alcune letture di riferimento, film che possono essere di ispirazione, playlist motivazionali e modelli da tenere a mente. Una lettura importante, dunque, un libro che ci fa guardare ad un problema diffuso come quello della mancanza di autostima con occhi diversi, con la certezza che con questo disagio interiore ci si può convivere e che a volte rappresenta una vera e propria risorsa.