Nell’autunno del 1998 ero nel “Consiglio di Facoltà” della Facoltà di Scienze Matematiche, Fisiche e Naturali dell’Università degli Studi di Torino. Scrissi una lettera che, raccolte le firme di dieci colleghi, recapitai ai componenti del Consiglio (tre o quattrocento non ricordo esattamente). Riguardava un tema – quello della droga – che non ha perso di attualità, temo anzi che ne abbia acquistata, e per questo la propongo ai lettori del “Magazine”. Ecco qua. <Caro collega, desidero sottoporti alcune riflessioni (eterodosse) sul problema della droga. Voci anche autorevoli si sono spesso levate a propugnare la liberalizzazione delle cosiddette “droghe leggere”. Recentemente, un alto magistrato ha anche fatto cauto riferimento alla droga pesante (suscitando un putiferio). Penso che ci voglia più coraggio: prendere atto che l’unico modo per eliminare la microcriminalità, e tagliare le gambe a gran parte della macrocriminalità organizzata, è liberalizzare la droga completamente. Altro che “somministrazione controllata”! Come si fa a ignorare che l’eroina alla produzione non costa pressoché nulla, e che il suo prezzo altissimo, e conseguenti enormi utili delle cosche, sono totalmente legati al plusvalore costituito dalla proibizione e dal conseguente rischio del commercio? Rilevare che quando mi fregano la macchina, mi scippano o mi rapinano, novanta volte su cento è stato un “tossico” (orrendo neologismo!) forse non sarà “politically correct”. Però è la realtà. So bene che il problema andrebbe affrontato su base supernazionale, ma qualcuno deve pur cominciare. L’attuale legislazione sembra scritta dai mercanti. Aumentare le pene per lo spaccio? Magnifico! Aumentando il rischio, aumenta il plusvalore, quindi il costo del prodotto, quindi il lucro del mercante. La liberalizzazione comporterebbe la scomparsa dei pushers e di un altro fattore di induzione al consumo, che è il fascino della trasgressione. Chiaramente, chi è “out for kicks” considera più divertente “iniziarsi” ai Murazzi che alla farmacia del quartiere. Quante vite risparmieremmo? L’attuale approccio liberticida discende dai tre autoritarismi paternalistici che sono nelle nostre radici, quello della Chiesa, quello vetero-comunista e quello fascista dello “Stato Etico”. E però forse i tempi sono maturi per fare “qualcosa”. Che cosa? Come vincere l’ipocrisia di un sistema (lo Stato) che proibisce alcune droghe, mentre trae parte importante dei suoi rediti dalla vendita di altre droghe micidiali, quali alcol e tabacco? Se voglio rovinarmi la salute, rivendico il diritto di scegliermi il modo. Perché lo Stato deve permettersi di decidere per me? Inutile sperare alcunché dai politici, che hanno motivazioni quanto meno sospette. Oltre a tutto, chi tentasse seriamente di liberalizzare, non vivrebbe a lungo. Tali sono gli interessi in gioco. Il massimo, che i politici faranno, è incrementare le “comunità”, fingendo di ignorare l’insignificante percentuale di successi. E allora? Si muovano gli intellettuali, i quali godono del privilegio del buffone di corte: possono dire qualsiasi cosa. Per loro, nessuno spreca un proiettile. Per fortuna, si crede generalmente che non contino niente (anche se in realtà contano moltissimo). Per fare un esempio, “muoversi” potrebbe significare un bel manifesto di universitari. Il risultato immediato sarebbe zero, e tuttavia il clamore suscitato sarebbe notevole. Importante è gettare il seme. E poi, “point n’est bésoin d’espérer pour combattre”>. Fine della lettera. L’iniziativa fu un fiasco, in quanto la redemption fu bassissima. I pochi messaggi, che pervennero, erano prevalentemente pieni di maledizioni. La lettera menziona un “alto magistrato”, ma non ricordo chi fosse. Nel febbraio 1999 fu ospitata da un mensile dell’epoca, “Anteprima Torino” (ed. Lindau). Passato un quarto di secolo, oggi la mia idea di fondo non è cambiata. E però le cose si sono complicate. Allora, le droghe “pesanti” erano quasi solo cocaina (la droga dei ricchi) e la distruttiva eroina. Oggi l’offerta si è vastamente ampliata: la “roba” è scesa di prezzo, ma in compensa è dilagata mantenendo altissimi gli utili delle cosche. Chissà che cosa ne pensano i lettori del Pannunzio Magazine. Il problema è lì, grosso come una casa: magari non quanto TicTok, ma condiziona il nostro futuro.
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