E’ mancato a Roma l’ing. Domenico Giglio collaboratore fedele di questa rivista ed  autorevole presidente dello storico Circolo Rex , una delle più antiche associazioni politico – culturali della Capitale. Domenico era un ingegnere  colto, che nutriva i suoi scritti e i suoi discorsi  di una sterminata cultura storico – umanistica. Non aveva ragione Musil a scrivere che gli ingegneri non hanno un’anima. Giglio era la dimostrazione vivente dell’errore contenuto in questa  celebre è infondata affermazione di uno scrittore forse sopravvalutato. Egli anzi era un’anima lunga , era una di quelle persone che non si possono e non si potranno  dimenticare. Io lo ricordo, quando ero un ragazzo quindicenne , per i suoi articoli lucidi, asciutti, meditati che hanno contribuito alla mia formazione politica. Ero un giovane monarchico liberale come lo erano stati  i giovani  Pannella, Sgarbi e Tajani. Lo stesso Mario Pannunzio come Indro Montanelli  votò per la Monarchia il 2 giugno 1946, seguendo l’indicazione di Benedetto Croce. Per uno come me che veniva da una famiglia di tradizioni militari, patriottiche e risorgimentali, era una scelta naturale sentire la Monarchia che aveva realizzato il Risorgimento come una componente ineliminabile della storia d’Italia  insieme al Conte di Cavour. Nel 1961 nel centenario del Regno e dell’Unita  d’Italia  mio padre volle portarmi a Cascais a rendere omaggio al Re in esilio Umberto II. Un ricordo indelebile rimasto tale nel decenni. Poi ebbi una maturazione intimamente sofferta, come diceva il mio amico Gustavo Buratti  che, pur nel solco della cultura liberale e risorgimentale, mi portò distante  da quei sentimenti adolescenziali. La durezza degli eventi della contestazione, del compromesso storico incombente  e poi del terrorismo mi porto ‘ò a difendere una Repubblica che stava diventando purtroppo  “conciliare “, come la definì Spadolini, o rischiava di essere travolta dal  brigatismo rosso. In me prevalse l’insegnamento del Re: “L’Italia innanzi tutto“ e la difesa dello Stato. Un mio caro amico di allora  Enzo Fedeli  diceva che i monarchici debbono essere i migliori italiani e Martini Mauri, che aveva lottato nella Guerra di Liberazione a capo delle formazioni azzurre, ritenne di dover difendere la Repubblica minacciata dall’accordo tra comunisti e democristiani e minacciata dai terroristi. E Mauri fu un altro grande amico della mia vita. I miei contatti con Domenico Giglio erano ripresi una decina di anni fa, quando mi invitò al Circolo Rex a parlare di Benedetto Croce. Fu anche l’occasione per incontrare un grande studioso amico di Domenico, il prof. Domenico Fisichella, che venne ad ascoltarmi ma credo anche ad esaminarmi. Già negli anni precedenti gli amici dell’ Associazione internazionale “Regina Elena” con in testa il Generale Reggiani mi consentirono di riconciliarmi con le mie  passioni giovanili ,ricordando a Torino Umberto II a trent’anni dalla morte. Nel frattempo, avevo riallacciato i rapporti con  il presidente della Corte dei Conti Salvatore Sfrecola con cui ero  stato amico negli anni giovanili e che ebbe la coerenza di una scelta che seppe mantenere inalterata nei decenni, malgrado gli alti incarichi istituzionali ricoperti. Domenico Giglio si era opposto ad ogni commistione tra monarchici e neofascisti con un atto che basterebbe da solo a dimostrare la limpidezza dei suoi ideali. Era una confusione che offendeva chi aveva combattuto nella Guerra di Liberazione e il martirio della Principessa Mafalda di Savoia. L’idea della pacificazione nazionale non andava confusa con innaturali alleanze e confluenze inammissibili che Giglio seppe combattere e denunciare con assoluta fermezza. Non era un uomo settario , anche se aveva delle saldissime convinzioni che gli derivavano da una famiglia patriottica di alto significato storico. Spesso anche lui ci stava il padre e il nonno, come faccio io. Nel 2018, quando il Centro Pannunzio festeggiò i suoi  cinquant’anni di vita, mi regalò delle copie del “Risorgimento liberale“ di Pannunzio del 1945 /46. Il dono più gradito. Domenico prese a scrivere  su questa rivista con grande intensità  fin dagli inizi . Articoli , saggi , piccoli interventi  che restano nelle pagine di internet come testimonianza di un’intelligenza politica corroborata da una vera conoscenza storica. Sull’onda dell’emozione non riesco a scrivere di più ma voglio dire che  lui mi ha consentito di rivivere gli ideali della mia giovinezza che oggi ritengo, anche per merito suo, uno dei pochi vanti della mia vita. Mi invitò a parlare a Roma di Carlo Delcroix, amico di mio nonno, che avevo conosciuto nel 1963: l’oratore forse più straordinario che ho avuto modo di ascoltare;   ebbi anche l’opportunità di parlare di Vittorio Emanuele III di cui non occultai meriti ed errori, tracciandone un bilancio storico. Ricordo le cene a casa sua  ai Parioli con sua moglie, splendida padrona di casa e donna di particolare intelligenza e cultura a cui portavo i “Baci“ di Alassio  che le ricordavano la giovinezza. Erano cene animate da discussioni storiche e politiche  di alta livello con la partecipazione  di Fisichella e Sfrecola. Con la sua morte viene a mancare un Maestro che divenne un caro amico , ma soprattutto viene a mancare un uomo libero che io ritengo anche un po’ una sorta di coscienza della mia vita. Questa rivista perde uno dei suoi più autorevoli collaboratori. Non ricevevo da qualche tempo suoi articoli e volli telefonargli per sentire come stava. Era al mare a Santa Marinella e sperava di andare in agosto in Trentino come ogni anno. La morte glielo ha impedito. Ho saputo poco fa dalla moglie che da dicembre gli era stato diagnosticato un male che non perdona contro cui ha saputo lottare fino all’ultimo senza rassegnazione. Un’ultima, grande lezione di vita che ha voluto lasciarci. Stava già molto male ma nella telefonata  intercorsa poco tempo fa non ci fu un segnale neppure piccolo di quanto  stesse vivendo. Una fine degna di una vita esemplare spesa al servizio di nobili e grandi ideali.