Stéphane Grappelli scriveva: “Un giorno, prima di cominciare a suonare, ruppi una corda del mio violino. Ne montai una nuova, ma non potevo accordare bene lo strumento perché l’orchestra di tango stava ancora suonando, e copriva qualsiasi altra cosa. Quindi me ne tornai dietro la tenda, dove Django e Louis Vola stavano aspettando il nostro turno. Accordai il violino e, nel farlo, improvvisai un chorus con quello che mi passava per la testa in quel momento. Quella musica sembrò colpire Django, perché imbracciò la chitarra e si mise ad accompagnare la mia improvvisazione“.
Brano tratto da: Django. Vita e musica di una leggenda zingara” (ETD, 2011)
Mercoledì 16 aprile, nell’ambito della rassegna musicale dell’Osteria Rabezzana Rabmatazz, sono saliti sul palco Giangiacomo Rosso, Stefano Ivaldi, Veronica Perego e Francesco Parodi, che hanno ricreato le atmosfere del leggendario Hot Club de France, suonando le ormai classiche musiche di Django Reinhardt, considerato uno dei più virtuosi ed influenti chitarristi di tutti i tempi, nonché ritenuto uno degli esponenti più significativi del jazz europeo, e del violinista Stephane Grappelli.
Sono diverse le origini artistiche dei quattro componenti che si sono esibiti: Giangiacomo Rosso, chitarrista, arriva dal Centro Jazz Torino, dove ha mosso i primi passi e successivamente da autodidatta si appassiona alla musica di Django Reinhardt e alla ricerca delle sonorità del Jazz Gitano; con i Blue Moustache ha partecipato alle ultime due edizioni del Torino Jazz Festival.
Stefano Ivaldi, violinista, parte dagli standard del jazz americano, per arrivare allo swing di tradizione francese, al gispy e alla canzone italiana riletta in chiave jazzistica, tutti caratterizzati dal violino solista.
Veronica Perego nel 2019 si diploma in contrabbasso jazz al Conservatorio di Torino e da allora ha collaborato con numerosi artisti del genere musicale, accompagnando le loro performance con il suo strumento.
Mara: «Non è usuale incontrare donne che suonano uno strumento “impegnativo” sia a livello fisico che tecnico, quanto le piace farlo?».
Veronica: «Non siamo poche e stiamo crescendo: le donne sono sempre più presenti negli ensemble jazz e in musica non esistono questioni di genere. Il contrabbasso è uno strumento dalle sonorità incredibili, senza la sua presenza non ci sarebbe il jazz».
La risposta di Veronica ha trasmesso tutta la sua carica e la sua forza, che nel ritmo travolgente del gipsy jazz sono fondamentali.
Per finire, nel gruppo c’è anche un giovanissimo e talentuoso batterista, Francesco Parodi, che ha segnato il tempo con uno strumento, la batteria, difficile da suonare con perizia ed intensità, come ha fatto lui.
Mara: «Stefano e Giangiacomo, che cosa vi ha appassionato di questa musica, al punto di farne il vostro stile preferito’».
Stefano: «la sonorità del Jazz Manouche ci ha travolto, e una volta scoperto, non siamo più riusciti a non esserne influenzati. Questo genere musicale ha visto come principali esponenti il chitarrista Django Reinhardt e il violinista Stéphane Grappelli, cui è dedicata la serata. Si tratta di un Jazz europeo che ha avuto origine in Francia negli anni Trenta. La loro musique diabolique si discostava molto dal Jazz “classico” americano, in quanto era una forma di Jazz suonato principalmente “a corde”, con una formazione costituita da chitarre, contrabbasso e violino. Insomma, una vera e propria novità musicale per l’epoca.
Il genere fu chiamato anche “Gipsy Jazz” e non solo ha rivoluzionato il ruolo della chitarra solista nel Jazz, ma ha aperto, anche, le porte alla conoscenza della cultura sinti dei nomadi musicisti ubicati nella periferia di Parigi».
Giangiacomo: «Django Reinhardt nacque in Belgio da una famiglia di etnia sinti, girovagò in Europa e nord-Africa; a diciotto anni aveva iniziato una carriera da apprezzato banjoista a Parigi, dove subì un grave incidente. La roulotte di famiglia fu divorata da un incendio e Django riportò gravi ustioni, tanto da perdere l’uso della gamba destra e di parte della mano sinistra. L’incidente cambiò la sua vita e la storia stessa della chitarra jazz. Infatti, a causa della menomazione alla mano sinistra, Reinhardt dovette abbandonare il banjo ed iniziare a suonare la chitarra, meno pesante. Nonostante le dita atrofizzate, o forse proprio grazie a queste, sviluppò una tecnica chitarristica rivoluzionaria e particolare, che lo rese famoso.
Stephane Grappelli nacque a Parigi da genitori italiani, si iscrisse al conservatorio ma non concluse gli studi accademici; apprese la musica da autodidatta, ascoltando Louis Armstrong, Bix Beiderbecke e Joe Venuti. Verso i 15 anni iniziò a suonare il pianoforte come accompagnamento per i film muti, nei club e nei ristoranti parigini; a 19 anni diventò membro della band dell’Ambassador Club, alternandosi tra pianoforte e violino, e non molto tempo dopo, avvenne l’incontro con il celebre chitarrista jazz belga Django Reinhardt. Dall’incontro nel 1934 nacque il Quintette du Hot Club de France. Il gruppo acquistò subito un’importanza internazionale e attraverso le proprie registrazioni si impose come il primo importante gruppo jazz non americano».
Ringrazio i due musicisti anima del gruppo creato per il tributo, restando piacevolmente colpita dalla loro competenza storico-musicale e dal loro amore per questi due artisti, nonché per il genere Manouche, che con le sue sonorità travolgenti ha fatto muovere i piedi dei numerosissimi presenti, la sala era sold-out, e tamburellare al ritmo del contrabbasso e della batteria tutti gli appassionati del genere.
Terremo d’occhio i quattro artisti e speriamo di rivederli presto all’Osteria Rabezzana, dove hanno inaugurato con questo concerto le giornate del Torino Jazz Festival.