Intervista a Stefania Rivoira, psicologa psicoterapeuta, consulente forense e formatrice.

Dottoressa, le difficoltà che riscontrano gli adolescenti di oggi sono le stesse che hanno dovuto affrontare i ragazzi delle generazioni precedenti? L’età giovanile è un periodo della vita in cui è

fisiologico dover affrontare alcune difficoltà dal punto di vista psicologico, perché è un’epoca di

passaggio dall’essere bambini al diventare giovani adulti. Dunque è fisiologicamente e psicologicamente

già di per sé un periodo abbastanza problematico per tutti. Però le caratteristiche della società nella quale cui ci si ritrova a dover “attraversare” questo cambiamento hanno un impatto notevole sul percorso di maturazione di ciascuno.La società contemporanea occidentale e, in particolare quella Italiana, sono società molto “richiedenti”, “performanti”, tarate sulla produzione e sulla dimostrazione del “risultato”. Sono società esigenti, in cui conta molto “ciò che si mostra”: l’estetica e, più in generale, ogni aspetto esteriore.

Che cosa intende per “società esigente”? Una società che – soprattutto attraverso i social, che ne amplificano la forza – richiede agli adolescenti di mostrarsi belli, ricchi, spavaldi, di distinguersi dagli altri, di “performare” in ogni campo, di avere “successo”. I modelli di vita proposti, poi, sono quasi sempre irraggiungibili e questo, ovviamente, può ingenerare nei ragazzi una profonda e dolorosa frustrazione.  Frequentemente gli esempi proposti all’ emulazione – anche quando raccontano vicende reali – trasmettono un’immagine falsata e distorta della realtà.  Nascondono quella parte precedente, e più difficile, che ha consentito il raggiungimento di certi traguardi: l’impegno, la costanza, la disciplina, il sacrificio. Del resto, la narrazione della fatica non è attrattiva, mentre in l’accendere i riflettori sulla performance stupefacente determina attenzione, seguito, ammirazione. Ma il messaggio del successo “facile” – a portata di mano – è illusorio: cosicché al confronto con la realtà, può provocare delusione e danneggiare l’autostima.

Che ruolo hanno i social in questo? I ragazzi di oggi trascorrono ore da soli davanti agli “schermi”, guardano video su YouTube e TikTok, e ricevono messaggi, sensazioni e informazioni ma non hanno ancora gli strumenti per elaborare, perché non posseggono ancora i “filtri critici” mentali degli adulti. Così ciò che vedono per loro diventa “legge”. Il mondo dei social diventa la loro verità di riferimento e, inevitabilmente, li condiziona. Inoltre, su queste piattaforme, i ragazzi comunicano, si raccontano, si sottopongono costantemente al giudizio e al gradimento degli altri. Gradimento che viene poi continuamente monitorato attraverso la conta dei “like”.

Quali problematiche può determinare tutto ciò?  Una forte ansia da prestazione, che opprime e “schiaccia” queste personalità in formazione, “dilatando” la fase adolescenziale dei ragazzi. Questo avviene anche perché alle richieste di una società così esigente e performante, si contrappone, invece, un atteggiamento iperprotettivo delle famiglie italiane nei confronti dei propri figli. I genitori generalmente tendono ad esercitare un controllo costante sulla vita dei ragazzi, tentano di rimuovere dal loro percorso qualsiasi ostacolo. Ovviamente tutto ciò lo fanno con amore, a fin di bene. Il risultato però è che questi comportamenti, nel tempo, sortiscono un effetto “svalutante”: i ragazzi saranno portati a pensare che, senza l’aiuto –spesso anche scolastico – dei propri genitori, non potranno cavarsela da soli; oppure che non sapranno fronteggiare da soli un’eventuale situazione di pericolo. In questo modo non saranno spinti ad impegnarsi, ad investire su se stessi e a rendersi autonomi dai propri genitori. Oggi, inoltre, c’è la tendenza a concepire i figli come “parti di sé”. Alcuni genitori tentano di colmare la propria insoddisfazione di vita attraverso i propri ragazzi: postano sui social i loro successi, ad esempio, e vivono traguardi e fallimenti dei figli come se fossero i propri. Tutti questi comportamenti, anche se agiti assolutamente in buona fede e con amore, hanno effetti molto dannosi sull’autostima dei ragazzi. Il risultato è che oggi, per molti aspetti, i ragazzi sono più immaturi degli adolescenti di un tempo e fanno fatica ad affrontare anche le situazioni più banali e quotidiane. Spesso, infatti, ragazzi molto intelligenti e tecnologicamente abilissimi- talvolta assai più abili degli adulti – non sanno compiere operazioni semplici. Come quella, ad esempio, di andare a fare la spesa valutando, con qualche margine di autonomia, le più elementari esigenze della famiglia. Perché? Perché non è stato mai richiesto loro di farlo. Oppure disbrigarsi in una situazione pratica imprevista che li riguardi personalmente. Che fare e a chi rivolgersi, ad esempio, se si guasta il motorino? Sono soltanto alcuni esempi di incombenze che i ragazzi sarebbero teoricamente all’altezza di assolvere, dalle quali però è la famiglia a dispensarli.  La consapevolezza di saper essere autonomi, invece, è fondamentale per accresce la propria autostima.  

Cosa provoca questo divario tra la spinta della società ad essere sempre più performanti e l’iperprotettività delle famiglie? Il rischio è allargare sempre più il gap fra quello che la società esigente richiede a questi ragazzi e ciò che loro percepiscono di sé.  Proviamo adimmedesimarci nell’adolescente: “So di essere abilissimo in tutto ciò che è tecnologico, so navigare agevolmente sui social, nel mondo virtuale. Ma, al contempo, percepisco la naturale immaturità dei miei anni.” La sensazione di disagio, inoltre, viene amplificata e costantemente confermata nell’adolescente dall’eccesso di protezione e di controllo della famiglia. Così la conquista dell’autonomia rallenta e l’infanzia e l’adolescenza tendono a protrarsi sempre più a lungo.

Come può manifestarsi il disagio provocato da questo divario tra una società molto esigente e famiglie iperprotettive? In molteplici modi: dalle difficoltà relazionali; al rifugio nelle sostanze stupefacenti e negli alcolici in età sempre più precoce, al timore del sesso. Fino ad arrivare ad atti di autolesionismo. Il timore del sesso è dovuto alla “narrazione” dell’atto sessuale che viene fatta nei film porno, facilmente accessibili ai ragazzi d’oggi. In quelle immagini non c’è la relazione, ma soltanto l’esaltazione della performance che il ragazzo teme di non saper replicare. Gli atti di autolesionismo, poi, sono in costante aumento: “tagliarsi” è un atteggiamento molto diffuso fra gli adolescenti in quest’epoca. I ragazzi si tagliano per “provare qualcosa”: lacerano la pelle per sentire dolore. Il colore rosso del sangue, inoltre, accende quelle “lampadine” neuronali che fanno provare emozioni. E così, per qualche istante, non si sentono più “anestetizzati” dalle situazioni che vivono attorno e dallo smarrimento che provano. Fino al taglio successivo.

E dunque, cosa si può fare per colmare il “gap” tra le richieste di una società sempre più esigente e famiglie troppo protettive? Noi psicologi clinici interveniamo sugli adulti e cerchiamo di far comprendere loro le conseguenze dei comportamenti che essi agiscono – ovviamente in buona fede e spinti da amore nei confronti dei figli – senza avere la percezione del danno che rischiano di creare. La famiglia non può più essere un totem sacro: dovrebbe piuttosto svolgere un ruolo modulato nel tempo. È necessario poi che i genitori instaurino un dialogo con i propri figli sin dall’infanzia e spieghino loro il mondo che li circonda. È necessario che affrontino le tematiche legate al periodo adolescenziale prima che i ragazzi si trovino ad attraversare questa fase di trasformazione, in modo tale che arrivino preparati al cambiamento del proprio corpo e della propria sfera emotiva. Il buon genitore è colui che sta vicino al figlio, ma, al contempo, lascia che si allontani da sé.