Diego Angeli ( Firenze 1869-Roma 1937 ), scrittore critico d’arte giornalista e gran traduttore, fu tra l’altro caporedattore  del “Convito” di Adolfo De Bosis, nonché autore di una trilogia ‘dannunziana’ ( “Centocelle”, “L’orda d’oro” e “Il crepuscolo degli dèi”, del 1908-1915 ). Figlio di Maurizio ( condirettore, assieme a Diego Martelli, della rivista fiorentina “Il Gazzettino delle arti e del disegno” ), anche con lo pseudonimo di “DIELI”, fu uno dei primi estimatori della corrente artistica dei Macchiaioli. Collaborò al “Giornale d’Italia” dal 1902 al 1925, al “Marzocco” di Firenze, al “Capitan Fracassa” e al “Messaggero” di Roma ( si vedano i cenni di. Danilo Veneruso, Dizionario Biografico degli Italiani, Torino 1961, vol. 3, s.v. ). Le sue cronache dal fronte francese tra il ’14 e il ’15 contribuirono a favorire l’intervento dell’Italia al fianco delle potenze dell’Intesa. Rapportava di continuo arte e vita ( in qualità di cavaliere, sportivo, spadaccino e ideatore di un giro d’Italia a piedi, iniziato con il poeta romano Cesare Pascarella ), esprimendo tuttavia profondità di pensiero e vastissima cultura nelle note critiche e recensioni letterarie, sempre tempestive e calzanti. Scrisse anche Le Chiese di Roma ( Roma 1920 ), “con raffinatezza d’indagine, con gusto assai vago e carezzevole, e con quel sentimento di ambigua dolcezza che è al fondo di molta parte dei sacerdoti della bellezza”, come ben disse Luigi Russo ne I narratori ( Roma 1933 ). Tradusse tutto Shakespeare in 39 volumi ( Milano 1911-1934 ), scrivendo scrisse anche La vita di Shakespeare ( Milano 1934 ). E per questi meriti gli fu dedicata una via in Roma, da via Tiburtina alla Piazza Riccardo Balsamo Crivelli. Qui e ora, mi occupo della ampia e diligente recensione Shakespeare, apparsa in forma di elzeviro sul “Messaggero” del 10 marzo 1920, recensione che inizia col discorrere del saggio laterziano di Benedetto Croce a proposito di “Shakespeare” ( in una con “Ariosto e Corneille” ), del ’19, e che rimane affatto ignota ai precedenti bibliografi del Croce ( Castellano 1920, Cione 1956, Borsari 1960 ed altri ). In questa recensione, Diego Angeli mette in luce anzitutto il dèbito crociano verso le lezioni di Francesco De Sanctis; quindi, l’importanza della distinzione tra “persona pratica” e “personalità poetica dello Shakespeare”, inaugurando un filone interpretativo che arriverà sino all’episodio della “Biblioteca” nell’ Ulysses di James Joyce. Quindi, l’Angeli conclude: “Dopo aver analizzato il sentimento shakespeariano, egli viene ad esaminare come lo ha tradotto in poesia concreta, dandoci così un mirabile studio in cui il filosofo e il critico si compendiano in una perfetta armonia”. Giovanni Spadolini ricorderà, come il proprio eminente conterraneo e concittadino,  ne Il debito con Croce ( Le Monnier, Firenze 1992 ) l’importanza degli studi shakespeariani del Croce, come contributo all’unità culturale europea dopo la grande guerra.La recensione di Diego Angeli si sofferma, in particolare, sulla fortuna critica dello Shakespeare in Italia, cogliendo riferimenti anche dall’analisi di Benedetto Croce, per quel che riguarda la “commedia dell’arte”. “Il saggio di Benedetto Croce si chiude con una ricca e preziosa bibliografia di quanto intorno allo Shakespeare è stato scritto in Italia. Ricca e preziosa, ho detto, anche per le note e i raffronti con i quali Croce l’ha adornata, rendendola così indispensabile a chiunque oramai si accinga tra noi a trattare di un così usato e abusato argomento. In fine abbiamo un ultimo capitolo di varietà, dove, riprendendo un tema a pena adombrato dal Wolf su Shakespeare und die “Commedia dell’Arte”, e più largamente trattato da Ferdinando Neri che molto genialmente trovò indiscutibili analogie fra The Tempest e certi nostri vecchi scenari nel suo delizioso volumetto Scenari delle Maschere in Arcadia, aggiunge quel tanto di esperienza e di dottrina propria in appoggio di una tesi che, più sicuramente approfondita e con più larghe ricerche nei nostri archivi teatrali, potrebbe dare la chiave di molte cose che ancora nel teatro shakespeariano sembrano incomprensibili e oscure”.