Il recente caso di Trump, che contesta tuttora le votazioni presidenziali USA 2020, porta la nostra attenzione sull’insieme di regole che tutti i cittadini dovrebbero rispettare per una convivenza equilibrata sui fronti dei diritti, dell’economia e delle opportunità sociali, e che indichiamo con la parola democrazia. Ricordo che nell’antica Grecia la parola democrazia significava “governo del popolo”; Che cosa significa oggi? Spesso usiamo la parola inglese governance per esprimere quell’insieme di decisioni e di poteri che vengono “delegati” dai cittadini ad altre persone, che consideriamo ”la classe dirigente”. Usiamo anche la parola partecipazione, per direche il principio di delega dovrebbe essere affiancato dal principio della sussidiarietà, cioè del farsi carico di attività, senza delegare altri, insomma la “democrazia per delega” dovrebbe essere affiancata da una “democrazia diretta” agita dai cittadini. E se le cose fossero diverse da quanto le parole sembrano esprimere? Voglio offrire una lettura diversa con lo scopo di affrontare un sentimento condiviso: un “disincanto” dei cittadini, che rilevano forti diseguaglianza economiche e sociali e le attribuiscono proprio alle carenze e alla “anzianità” del paradigma, che viene sinteticamente indicato con la parola “democrazia”. Toqueville, infuencer ante litteram.Mi aveva colpito il ruolo di Tocqueville (1805-1859) quando aveva visitato gli Stati Uniti e, tornato in Europa, aveva metabolizzato il sistema di governo USA. Considero De Tocqueville il primo politologo moderno che dice che cosa potrebbe essere la “democrazia”, elaborando lo schema statunitense. Di fatto egli racconta la democrazia come quella organizzazione del potere politico fondata su questi due principi: l’uguaglianza dei diritti – tutti i cittadini sono assoggettati alle stesse norme giuridiche-, la mobilità sociale: no ai privilegi di caste per accedere a posizioni di comando e responsabilità, ma “ascensore sociale” per tutti. Fu la sua tormentata lettura della dualità “libertà-uguaglianza” a generare la domanda: “sono compatibili la capacità di resistenza dell’individuo al potere politico (la libertà) con l’uguaglianza, ossia l’assoggettamento di tutti ad una sola legge, quella dello Stato”? Tocqueville scrisse: “l’individualismo è una sensazione ragionata che porta ogni cittadino ad isolarsi dalla massa dei suoi simili in modo che, dopo essersi creato una piccola società al suo impiego, abbandoni volentieri la grande società”. Noi usiamo altre parole ma la sfida resta potente: oggi diciamo che l’EGO (ossia l’individualità esasperata) sovrasta l’ECO sistema (ossia gli altri attori nel contesto) e che il BENE COMUNE diventa marginale. La “maggioranza” diventa così una forza che non riesce a proporre soluzioni eque e condivise. La democrazia, come la descriveva Toqueville, rompeva gli schemi del potere direttivo ed esclusivo dell’epoca (metà Ottocento) e metteva le basi per le rivoluzioni culturali dei due secoli successivi. La democrazia praticata ha più di due secoli; sono passati oltre duecento anni dalla Costituzione americana (1789) e le regole (la governance) che gli stati del mondo si sono date, ne hanno tratto fortissima ispirazione. Da quella data d’inizio le società che si sono sviluppate, hanno fatto passi avanti e passi indietro rispetto ai due principi enunciati sopra: l’eguaglianza dei diritti e la mobilità sociale. In questi ultimi duecento anni ci sono stati tanti cambiamenti, sofferenze e sfide, ma la popolazione mondiale è passata da meno di un miliardo di abitanti (1820) a quasi otto miliardi (2020) e la complessità delle relazioni e dei cambiamenti ambientali e sociali del territorio richiederebbe un cambiamento “radicale” (disruptive) del governo della dimensione politica. La domanda che ci dobbiamo porre e di fatto ci siamo già posti ovunque, è la seguente: vogliamo e possiamo aggiornare, anche radicalmente, la governance, mettendo mano alle “regole” che chiamiamo democrazia e che sono state formate, pubblicate, eseguite in tutto il mondo da oltre duecento anni? Queste regole si basano, praticamente tutte, su processi di delega, attraverso il voto. Il voto è espresso dai cittadini ogni quattro o cinque anni, con un livello d’ingaggio che mostra debolezze, incongruità, falle e inefficacia tali da minacciare la stessa sopravvivenza degli umani sulla Terra. La democrazia vive una transizione?Sì, la democrazia, come la conosciamo e pratichiamo oggi, è in transizione. L’ONU ha lanciato il programma Agenda 2030, l’Europa ha avviato il “green new deal” ambientale e sociale con orizzonte 2050, le associazioni umanitarie stanno lavorando per compensare le mancanze di tutti i governi del mondo. Molte sfide che qualificano la vita degli umani, sono disattese, anzi violate (povertà, istruzione, accesso all’acqua, clima). Molte istituzioni, pubbliche e private, stanno cercando di ri-equilibrare le diseguaglianze: osservando alcuni indici possiamo notare dei miglioramenti, ma alcune sfide sono aumentate e sembrano accelerare nei loro effetti negativi: l’alterazione del clima e la distruzione della bio-diversità sono due esempi. Sul fronte delle conoscenze umane si rivelano due fenomeni rilevanti: le conoscenze tecnologiche sono imponenti e possono offrire risoluzioni ai problemi anche sul lungo termine, sono opportunità di “salvezza”, se le mettiamo al servizio della continuità di specie degli umani e dell’ambiente; le conoscenze, specie quelle tecnologiche, sono viaggi verso l’ignoto ma possono aumentare il rischio di estinzione di massa. Sono cioè minacce, così come certe scoperte e invenzioni hanno prodotto aumenti di rischio nel recente passato; è sufficiente ricordare il potenziale distruttivo dell’energia nucleare che si è espresso nel caso di Chernobyl nel 1983. Può l’innovazione radicale della governance ridurre il rischio e aumentare le possibilità di sopravvivenza degli umani? Mi pongo questa domanda mettendo al centro la governance, portando così in secondo piano altre risorse che potrebbero rivelarsi idonee allo scopo. A questa prima domanda affianco una seconda: c’è una modalità di “pensare”, che è indispensabile applicare per ottenere una riduzione del rischio? Qual è il problema? Io l’ho raccontato applicando alcune semplificazioni, che potrebbero far nascere obiezioni significative e rilevanti. Sono consapevole che il terreno è sdrucciolevole, poco conosciuto, soggetto a molte interpretazioni! Come affrontare questa “natura del problema” che definirei “complessità” ? Non c’è una sola “soluzione”, è indispensabile riuscire a definire il problema, come posso definirne i confini? Inizio dalle persone che partecipano al percorso. Perché? Le persone decidono, ecco la risposta: a loro si deve chiedere di portare alla luce la propria intenzione individuale sul problema, che è annidata all’interno della persona e che non è facile evidenziare. E se l’intenzione non fosse coerente col problema? la persona NON sarebbe nella direzione giusta per essere ingaggiata. E’ necessario individuare le persone che risuonano sul problema e che impegneranno le proprie energie e volontà sullo stesso. Subito dopo si può osservare che l’individuo opera in una comunità. Appare quindi l’aggregazione, di solito definibile in un territorio, di molte persone, che si relazionano e che costituiscono una comunità. Poi scopriamo un aspetto del percorso che prende forma e sostanza: è la velocità con cui si lavora per dipanare la matassa e far emergere “il problema”; qui serve la lentezza perché la metabolizzazione non è veloce: di solito si sviluppa un processo di apprendimento, serve tempo, il cambiamento è un processo di ristrutturazione che offre una nuova “mappa” della realtà. Serve un pensiero di sistema per accoglierne le “parti”, che possono includere strutture e processi vitali, come la bio-diversità della fauna e della flora e per accogliere le molte dimensioni dell’ambiente, di cui è indispensabile capire le connessioni tra le parti. Ancora una volta serve un pensiero sistemico per capire che nella natura e nelle innumerevoli connessioni con le strutture fisiche, ci sono circuiti che stabilizzano il funzionamento, ma anche circuiti che lo mettono in fibrillazione e lo possono distruggere o bloccare. E infine c’è una dimensione valoriale che può accogliere o non accogliere l’uguaglianza tra gli umani: è necessario capire se e come gli umani interagiscono, se, come e quando vengano introdotte nel sistema regole da rispettare da parte di tutti. Conclusione? Strategia e azione. Prima di dialogare e lavorare sulle soluzioni, cioè su nuove espressioni di governance, dobbiamo sentire e capire il problema. Qual è il problema, oggi, che impedisce all’attuale governance di essere efficace, di essere al passo della nuova società che in questi ultimi duecento anni si è formata? Dobbiamo capire, vedere, sentire il sistema anche sul lungo termine, vista la complessità del sistema attuale, che non può essere gestita da un “pensiero lineare” di causa-effetto, come veniva e viene praticato, sia dalla popolazione, sia da chi è stato delegato alla governance. Possiamo concentrarci qui ed ora sul problema; abbiamo tante risorse, dopo, per progettare e attuare soluzioni promettenti.
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