Noto in alcuni commentatori un certo entusiasmo nel constatate come le catene di produzione globale, le cui fasi manifatturiere si sono concentrate in Cina, stiano soffrendo e d’un tratto pensano che tutto si stia aggiustando visto che le imprese stanno pensando di ritornarsene in patria e industrializzare di nuovo i paesi sviluppati. Ignorano che questo non significa un aumento dei posti di lavoro. Ma questo è il meno.
Questo fenomeno si chiama reshoring o deglobalizzazione e fino all’altro ieri era totalmente ignorato dai commentatori permanenti. Nell’anno accademico 2008/2009 avevo assegnato una tesi dal titolo “Deglobalizzazione: mito o realtà?” (la trovate qui: https://tesi.luiss.it/5759/).
Tuttavia questo entusiasmo improvviso è miope tanto quanto l’ignoranza (del fenomeno) precedente. Mi spiego.
L’11 e il 12 marzo avrei dovuto partecipare a Pavia all’incontro annuale di RiskShop. L’evento è stato annullato a causa del Coronavirus.
Il titolo della mia relazione era “La fine della Pax Americana?”. Non voglio entrare nel dettaglio (poi pubblicherò la relazione), vado per sommi capi.
Il collasso della Pax Britannica, conduce alla creazione di blocchi economici, politici e militari chiusi: il blocco dello yen, del dollaro, della sterlina, del marco. Dall’attrito tra questi blocchi nasce la seconda guerra mondiale.
La ricostruzione dell’ordine economico post-bellico americano è stata fatta per frantumare questi blocchi e creare (tra le altre cose) un ordine globale interrelato da mutue interdipendenze, evitando che i vecchi spettri del nazionalismo politico e del protezionismo economico gettassero di nuovo il mondo in un’altra guerra.
Ora quei vecchi spettri stanno tornando, non solo perchè i demagoghi cavalcano le paure di chi è rimasto indietro, ma anche perchè le caratteristiche stesse della tecnologia e della nuova economia stanno rompendo quelle interrelazioni create dal commercio internazionale.
Per dirla con una battuta, se prima aveva un senso delocalizzare in Cina le attività manifatturiere a più alto contenuto di manodopera (perchè là il costo del lavoro era basso), ora quelle attività possono essere riportate in patria e a farla possono essere i robot che non hanno nemmeno bisogno della luce che illumini il capannone. Il che modificherà dalle fondamenta la divisione internazionale del lavoro a livello globale.
Ora, mi pare che il Coronavirus non solo potrebbe accelerare il passaggio dalla società fordista a quella digitale (fine del lavoro fordista, fine della città fordista, fine della scuola fordista etc) ma potrebbe accelerare questo processo di regionalizzazione dell’economia globale. Per dire, ha senso che tutto il mondo concentri la produzione manifatturiera in un solo paese, con il rischio che, in caso di difficoltà per quel paese, la filiera produttiva di un intero settore collassi da un giorno all’altro?
Dunque, il vecchio mondo interrelato voluto dalla Pax Americana e favorito dalla globalizzazione fordista (esplosione della catena di montaggio a livello globale e il disseminarsi delle varie fasi della produzione secondo i diversi vantaggi comparati dei diversi paesi e delle loro legislazioni nazionali), che ha garantito la pace tra le grandi potenze per oltre 70 anni si sta indebolendo (si noti il grande silenzio delle organizzazioni internazionali costruite dopo la seconda guerra mondiale). Indebolendosi quell’ordine sta emergendo nuovamente quel vecchio ordine diviso per blocchi regionali e il motivo è semplice: ci sono forze politiche, emotive, economiche e tecnologiche che spingono tutte insieme in quella direzione. Pensare che ciò possa accadere per colpa di Trump (come sembra credere una parte del mondo liberal globale) è ridicolo.
Il punto è che nulla esclude che questo processo di regionalizzazione possa significare il ritorno di quei vecchi blocchi economici e politici che per ben due volte gettarono il mondo nella fornace della guerra.
Prima di esultare perchè le fabbriche che hanno delocalizzato in Cina ritornano in patria, conviene chiedersi: è possibile creare un ordine costruito intorno a blocchi regionali senza scatenare per la terza volta una guerra mondiale? Io qualche dubbio ce l’ho.
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