Papa Gregorio XVII è morto e i cardinali, divisi in due fazioni opposte – conservatori e liberali – si riuniscono per eleggere il suo successore. A guidare e supervisionare il Conclave è il cardinale Lawrence, il cui ruolo di garante delle delicate elezioni lo porterà a svelare oscuri segreti sui candidati al papato. Alla fine, la scelta ricade su Vincent Benitez, missionario messicano da poco nominato arcivescovo di Kabul, l’unico che sembra immune da ombre. Ma dopo l’elezione emerge il suo grande segreto: il nuovo papa è intersessuale. L’unico a esserne a conoscenza era Gregorio XVII, che, nonostante tutto, lo aveva elevato al rango di cardinale. La trama di Conclave, così come quella dell’omonimo romanzo da cui è tratto, promette di essere avvincente. Un thriller morale ambientato in Vaticano, che esce nelle sale proprio nell’Anno Santo e sembra avere tutte le carte in regola per affascinare il pubblico e tenerlo incollato allo schermo. Eppure, il risultato finale non è all’altezza delle aspettative. Se la fotografia è straordinaria, il vero fulcro del film è il dialogo, che però poggia su una sceneggiatura fragile. Il ritmo è fiacco, la narrazione priva di mordente: non riesce né a far riflettere sui meschini giochi di potere e sugli intrighi politici che influenzano l’elezione del papa, né a mantenere alta la tensione. Il colpo di scena finale, improvviso e forzato, scorre via troppo in fretta. Nonostante un cast eccellente, guidato dalla sapiente regia di Berger, i personaggi risultano piatti e privi di evoluzione. Il decano del collegio cardinalizio, Lawrence, interpretato dall’impeccabile Ralph Fiennes, è una figura rassicurante, ma monocorde. Neppure l’intensa performance di Sergio Castellitto, nei panni dell’irascibile cardinale Goffredo Tedesco, riesce a risollevare le sorti del film. Dialogo dopo dialogo, si approda a un finale che vorrebbe affrontare temi profondi – dalla disparità di genere, alla minaccia dell’ascesa di un’ala estremamente conservatrice – senza però riuscire davvero a lasciare il segno. Il risultato è un’opera che sfiora grandi temi senza approfondirli, lasciando nello spettatore una vaga sensazione di occasione mancata.