È davvero sorprendente come le, spesso travagliate, vicende dei titoli obbligazionari emessi dal nostro governo non siano state sufficienti a mettere in guardia le famiglie, sempre alla ricerca di rendimenti “sicuri”. Sfugge, purtroppo, ancora troppo spesso la conoscenza di alcuni, semplici, parametri che dovrebbero consentire di orientarsi, non per calcolare le distanze al centimetro ma almeno per stabilire la direzione da percorrere, nel mondo degli investimenti obbligazionari (le azioni richiedono un discorso a sé stante). Le obbligazioni sono un debito, nel caso dei BTP dello Stato italiano, che andrà restituito ad una scadenza prestabilita. Le insidie per chi decide di prestare il proprio denaro sono di due tipi: se il debitore sarà in grado di onorare il proprio impegno e quale sarà il valore reale del denaro prestato al momento nel quale ne rientreremo in possesso. Il primo rischio ha a che fare con la solidità del debitore: più esso è inaffidabile e maggiore sarà la probabilità che il prezzo del titolo “balli” paurosamente prima del suo rimborso. Non basta, infatti, fidarsi del fatto che alla scadenza lo Stato pagherà il suo debito: nel corso della sua esistenza l’obbligazione subirà inesorabilmente le ondate di sfiducia (l’Italia ne è periodicamente soggetta…) che dovessero abbattersi sulle nostre sponde. Inoltre, più è lontana nel tempo la scadenza e maggiore è l’incertezza legata al debitore (quale sarà il nostro debito pubblico tra 5,10, 20 anni e saremo ancora in grado di onorarlo?) così come la possibilità di subire un deprezzamento del nostro capitale dovuto ad un tasso d’inflazione superiore alle cedole riscosse dai nostri titoli. Proprio al pagamento delle cedole, infatti, è affidato il gravoso compito di preservare il valore reale dei capitali prestati ma se, dopo avere pattuito un certo rendimento, l’inflazione sale al di sopra dei livelli iniziali e/o insorgono dubbi sulla credibilità del debitore è il prezzo dei titoli in portafoglio a pagarne le spese. Chi non volesse troppo approfondire questi concetti, ritenendoli troppo astrusi o teorici, potrà con grande facilità toccare con mano quanto avvenuto alle quotazioni dei nostri amatissimi BTP negli ultimi anni. Prendiamo, ad esempio, il BTP emesso nel febbraio del 2021, con scadenza fine agosto del 2031. Il rendimento, alla sua emissione, ha calamitato le attenzioni di moltissimi risparmiatori. Le cedole dello 0,6% sembravano evidentemente un ottimo tasso rendimento nel nuovo paradigma dei “tassi bassi per sempre”: peccato che le valutazioni che guardano solo al presente (ignorando l’incertezza propria del futuro che ci attende) si possono rivelare quantomai fallaci. Dopo essere andato letteralmente a ruba il valore del titolo ha subito iniziato a scendere ed ora vale circa 81: dopo 3 anni e mezzo l’investimento ha reso… perso il 19%. Molto peggio è andata a coloro che avevano deciso di destinare parte dei loro risparmi al BTP Futura 2037, nell’aprile del 2021, valutati ora 71,5, il 29,5% in meno rispetto al valore di emissione! Ad onore del vero decisamente meglio è andata a coloro che hanno investito negli ultimi mesi del 2024 quando, dopo la forte salita dei mesi precedenti, i tassi richiesti dal mercato al debitore (lo Stato italiano) sono scesi di quasi un punto percentuale (facendo così salire i prezzi dei titoli). Come sempre avviene in finanza, dove esistono dei pericoli si aprono anche delle opportunità ma queste ultime vanno valutate con estrema attenzione e consapevolezza. Insomma, quello che si immaginava un viaggio rilassante si è rivelato essere per i risparmiatori una spiacevole corsa sull’ottovolante dei mercati finanziari. A questa debacle hanno contribuito due fenomeni: l’aumento dell’inflazione, e con essa dei tassi d’interesse (lo strumento che dovrebbe proteggere il potere d’acquisto del prestatore di denaro), e la lunga durata (più lontano nel tempo è il rimborso e maggiore sarà l’impatto negativo sul prezzo del titolo). Da quanto detto sin qui si evince chiaramente che tutto si può dire sui titoli di Stato (e, per la verità, sulle obbligazioni in generale) ma non certo che essi siano privi di rischio. Senza volere troppo calcare la mano sui problemi del nostro Paese, con il debito più elevato del mondo occidentale, un terzo del quale da rifinanziare nei prossimi tre anni, occorrerebbe perciò esaminare con estrema attenzione gli strumenti da inserire nel nostro portafoglio. Lo Stato italiano dovrà rifinanziare la metà del proprio enorme debito pubblico nei prossimi 5 anni ed il 32% nei prossimi due: sarà cruciale essere molto, molto convincenti per potere trovare abbastanza investitori disposti a concederci la loro fiducia…L’obiettivo di questa analisi non è certo quello di scoraggiare tout court l’investimento nel nostro debito, se non altro per spirito patriottico, ma rendere consapevoli che non basta la parola magica “BTP” per garantire, anche ai tassi attuali, un investimento sicuro e a basso rischio: bisogna prima comprendere quali sono i pericoli che andremo ad affrontare e, se vogliamo veramente ridurre al minimo le fastidiose oscillazioni del nostro patrimonio, concentrarci sulle scadenze più brevi che oggi, peraltro, offrono rendimenti di poco inferiori a quelli delle, molto più rischiose, obbligazioni a medio e lungo termine. Solo così potremo rileggere l’acronimo BTP come abbiamo, più meno consciamente, sempre fatto: Buoni del Tesoro Prudenti… Ma non troppo!
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