Sono sempre stato un appassionato dei videogiochi, sin da quando mi regalarono una console Atari; sebbene fossi solo un bambino, salvai innumerevoli volte la Terra, sterminando gli alieni invasori con la navicella Defender. In generale l’umanità gioca sin dai suoi albori e lo fa, stando all’Enciclopedia Treccani, «per passatempo, svago o ricreazione, o con lo scopo di sviluppare l’ingegno o le forze fisiche». In ogni caso, giocare richiede una partecipazione, uno sforzo attivo a fare qualcosa, in particolare i giochi da tavolo e i videogiochi, richiedono un impegno mentale a risolvere un problema. È qui che c’è il valore dell’attività ludica. Starsene in panciolle a guardare la televisione, invece, non richiede alcuno sforzo, anche se ha un valore formativo assistere ad un documentario, la fruizione è comunque passiva.Seneca scrisse «ducunt volentem fata, nolentem trahunt», intendendo con ciò sottolineare il fatto che, a prescindere dai fata, le condizioni di partenza o gli eventi accidentali che nella vita ci capitano, alcuni continueranno ad agire mettendo in atto la propria volontà, altri invece ne saranno trascinati in quanto passivi ed, al limite, travolti. Concetto ripreso, in chiave religiosa, nella Parabola dei talenti Matteo 25, 14-30: l’idea è che non importa tanto la condizione di partenza, ma cosa facciamo di ciò che abbiamo a disposizione, il terzo servo è punito in quanto passivo, non ha messo a frutto ciò che gli era stato dato. Il divario, tra fruizione passiva e ruolo attivo, è cosa che conosce bene lo studente universitario nel momento in cui, avendo frequentato le lezioni, capito i concetti, preso appunti, studiato il testo, ripassato, nella convinzione di aver fatto il novanta per cento del lavoro, si accinge a risolvere il primo esercizio di un precedente tema d’esame. Il panico che ne consegue, la sensazione di essere, invece, solo al dieci per cento della preparazione, lo smarrimento davanti al foglio bianco, sono conseguenze di questo divario. È facile guardare un film, ascoltare un concerto o una conferenza, leggere un libro, ma quando si chiede, anche soltanto, di raccontarlo a qualcuno, la cosa cambia aspetto, si rende necessaria una rielaborazione, un pensiero attivo che non è la mera ripetizione di frasi mandate a memoria.Spesso le attività ludiche, videogiochi in particolare, sono vituperati dalla generazione precedente la mia. Posso accettare critiche da chi pratica sport, da chi sviluppa la manualità con l’artigianato, da chi ha una spiccata vita sociale, ma non da chi occupa la maggior parte del proprio tempo libero a guardare passivamente quello che danno in televisione, affidandosi allo zapping senza nemmeno lo sforzo di una ricerca attiva, magari soffermandosi sulla ennesima ventina di ragazzi in braghette che corrono appresso ad un pallone nella speranza, per lo più vana, di prenderlo a calci. Da che pulpito arriva la predica!Giocare stimola a fare, ad agire, a raggiungere un obiettivo richiesto o un risultato che ci si è posti. Il boardgame, o gioco da tavolo, in Italia è relegato in una nicchia per appassionati. La maggior parte del pubblico lo identifica con Monopoli uscito nel 1936, durante la guerra in Etiopia, o con Risiko! del 1968. Basta farsi un giro tra gli scaffali di un supermercato per rendersi conto di quanto spazio occupano ancora oggi, a scapito della miriade di novità che sono nel frattempo uscite. Giocarci oggi è come ascoltare Mille lire al mese pensando che sia il tormentone estivo 2020, o cambiare autovettura e prendersi una bella Fiat 1100. Nel frattempo, il genere si è sviluppato, con una quantità di meccaniche nuove, di ambientazioni, di materiali, al punto che annualmente si svolge ad Hessen in Germania, lo SPIEL, una fiera mondiale che per superficie, numero di stand e di visitatori vale una volta e mezza il Salone del libro di Torino. Ogni anno vi si presentano centinaia di giochi nuovi ed il vincitore dell’ambito premio, diventa un best seller, in Germania. Rimando ad altra sede una descrizione delle varie tipologie, diciamo però che le caratteristiche fondamentali di ogni gioco da tavolo sono il ragionamento e la socialità. Generalmente sono previsti quattro o cinque giocatori, che l’ambito sia familiare o tra coetanei, l’interazione è fondamentale. Ci si ritrova intorno ad un tavolo e si trascorrono piacevoli ore insieme, imparando a rispettare persone, regole e materiali, ad accettare di perdere, a competere ma anche, in alcuni casi, a collaborare e, soprattutto a concentrarsi per risolvere, mossa dopo mossa, i casi che si presentano. Per lo più problemi di ottimo vincolato, situazioni in cui si cerca di massimizzare un punteggio, sottostando ad una serie di limiti imposti. Per gli ingegneri, problemi di Ricerca Operativa. Appassionandosi, aumenta il desiderio di giochi più difficili e di maggiore complessità strategica, in cui ad ogni mossa non si realizzano solo obiettivi immediati, ma anche obiettivi complessivi da sviluppare durante l’intera partita. All’esperienza di socialità, da condividere spalla a spalla con altri, si somma quella di sviluppo della capacità di ragionamento e di problem solving, tanto ricercata dalle aziende. Non stupisce che l’Italia sia fanalino di coda nelle varie classifiche Ocse o che ci si ostini a rifiutare il più elementare confronto internazionale, dato dalle prove Invalsi. Il problema non è solo della scuola, è di una società autoreferenziale ed arrogante che pensa che i giochi siano appannaggio dei bambini, e che gli adulti non debbano abbassarsi a tanto, quando invece dovrebbero, per primi, mettersi in gioco. Letteralmente. Per chi volesse approcciare all’argomento consiglio Board Game Arena https://it.boardgamearena.com/, una piattaforma gratuita in cui gli editori mettono a disposizione un certo numero di giochi da provare on-line. Si possono provare molte soluzioni gratuitamente, con un piccolo abbonamento si possono invitare i propri amici a giocare insieme, recuperando così una parte della socialità. Non è la stessa cosa che essere seduti allo stesso tavolo, ma in tempi di Covid, ci si può accontentare. Discorso molto diverso e più variegato, quello dei videogiochi. Diverso perché sin dalle origini, con i primi pc e le prime console, la fruizione principale è sempre stata individuale. Al computer si giocava basilarmente da soli, contro il computer. Solo negli ultimissimi anni sta esplodendo la socialità del videogioco. Variegato perché a seconda delle tipologie, può prevalere l’aspetto di ragionamento, anche strategico, piuttosto che quello di prontezza di riflessi e coordinamento occhio-mano. Da Tetris 1984, all’ultimo sparatutto, non è richiesta la soluzione di problemi complessi, ma giochi che richiedono la raccolta ed il successivo utilizzo di risorse, o la gestione di intere armate su una mappa, con decine di territori, presentano una complessità che spesso va ben oltre a quella di un lavoro da ingegnere, retribuito. All’inizio l’interazione con gli altri era molto limitata, salvo alcune console con cui ci si poteva sfidare in due, per lo più di videogiochi si parlava o si faceva a gara a chi aveva il punteggio più alto, o la città più grossa, nel caso di SimCity 1989. Era molto difficile trovarsi in una stanza con tanti pc, rigorosamente fissi, e poter giocare in rete locale: ricordo che passammo un bel pomeriggio approfittando di un laboratorio universitario, in quattro, con Quake 1996, ma fu un’eccezione. Quando si diffusero le email, nacquero i PbM play by mail, giochi per posta, rigorosamente per turni, così come da secoli si giocava a scacchi per corrispondenza. Ad esempio ricordo GalaxyNG 1993, un gioco semplice nelle regole ma di infinite possibilità strategiche: un server (tuttora esistente) organizza partite con anche cento giocatori, mettendo a disposizione un software che presenta la mappa di una galassia da conquistare; i giocatori costruiscono astronavi e le lanciano alla conquista dei pianeti avversari, inviando via mail le diposizioni; il server elabora il tutto con cadenza settimanale e restituisce gli esiti delle battaglie. L’interazione tra giocatori, fatta di alleanze e tradimenti era forte, pur se a distanza e per iscritto. L’impegno alto, come alto l’abbattimento delle frontiere. Ricordo che in una partita da cento giocatori, rimasti in quattro contro quattro, per elaborare l’attacco finale un alleato, inglese, mi confessò di aver preso un giorno di ferie dal lavoro, all’insaputa della moglie! I giochi strategici per antonomasia, rigorosamente per PC, data la necessità di avere una tastiera per dare molti comandi e richiamare le truppe, hanno per lo più avuto una fruizione individuale. Con la serie Age of Empires 1997, si può giocare con sette avversari o alleati, gestiti dal computer, in tempo reale: è una gara contro il tempo per raccogliere le risorse, sviluppare le tecnologie, arruolare un esercito e sconfiggere i nemici o realizzare gli obiettivi della campagna. Solo recentemente è stata creata una piattaforma per organizzare partite con altri umani on-line. I giochi di maggiore spessore strategico sono però per turni ed una partita, con l’obiettivo di vittoria globale, può tranquillamente superare le cento ore di gioco. La serie Civilization di Sid Meier 1991, in cui sviluppare una civiltà dai suoi albori alla conquista dello spazio, pur con combattimenti gestiti da pc, consente una varietà di strategie per differenti tipi di vittoria: militare, tecnologico, economico, culturale, scientifico. Victoria 2003, ambientato all’epoca della celebre Regina di Inghilterra, implica la gestione economica di decine di province, per condurre gli eserciti al dominio globale. La serie Total War iniziata nel 2000, di cui il capitolo più riuscito è Shogun 2 2011, include un doppio livello, riprendendo alla lettera la celebre definizione di von Clausewitz: «la tattica insegna l’impiego delle forze nel combattimento, la strategia l’impiego dei combattimenti per lo scopo della guerra». Sulla mappa strategica si gestiscono, le risorse economiche, il livello delle tasse, la diffusione religiosa, la costruzione di edifici, gli arruolamenti di truppe, le alleanze, i commerci, i movimenti di truppe e personaggi, il tutto per turni. Quando due eserciti nemici, in movimento simultaneo, si vengono a trovare nella stessa zona, si apre una mappa tattica tridimensionale, in cui effettuare il combattimento in tempo reale, muovendo le truppe, a livello di compagnia o squadrone. Con un realismo che non ha eguali, perché l’algoritmo tiene in considerazione, oltre al tipo di armi corazze ed esperienza delle singole unità, dell’affaticamento delle truppe, del livello del generale, a sua volta sviluppato in logica RPG role playing game (gioco di ruolo) e, soprattutto del morale delle truppe che a sua volta dipende dalla perdite subite, dalla presenza del generale, da una maggiore elevazione e dalla posizione relativa di altre unità nemiche o amiche che si stanno sbandando. Se, sfortunatamente, il nemico rompe la fronte o accerchia lo schieramento, in un attimo l’intera armata cede, abbandonandosi ad una rotta precipitosa! Shogun 2 è considerato dagli appassionati uno dei giochi più difficili, perché la condizione di vittoria è il controllo di quaranta province su sessanta, includa la capitale Kyoto ma, prima che l’espansione raggiunga le venti, l’Imperatore dichiara la divisione del regno, con la conseguenza che entro qualche turno, anche i più fedeli alleati si rivoltano contro il candidato alla vittoria, attaccandolo militarmente e troncando ogni rapporto commerciale. Per vincere è necessario, a quel punto, aver già costruito uno stato geograficamente compatto, scoperto le tecnologie, arruolato truppe scelte, sviluppato i generali, accumulato risorse economiche. Tra gli strategici è doveroso citare anche i videogame di carattere commerciale, quali Patrician 1992 e Port royale 2003. In questo caso si deve creare una flotta commerciale per trasportare merci acquistabili a basso prezzo nei mercati di produzione, per rivenderle in altri; successivamente si reinvestono i proventi creando delle produzioni proprie. La difficoltà è che i prezzi si determinano in funzione della scarsità di beni, quindi tendono a riallinearsi, riducendo i margini, man mano che i beni si diffondono. È possibile impostare delle rotte e delle azioni di acquisto e vendita che le navi eseguono in tempo reale, avendo accortezza che non si creino squilibri ed accumuli nei vari mercati della mappa. Non banale. Se i videogiochi strategici esistono tuttora e li consiglio per il loro valore educativo, è indiscutibile il loro declino economico e la loro marginalizzazione, data dall’enorme sviluppo dell’esperienza social. Primo fra tutti fu Facebook, cui si accedeva da pc, al suo interno nacque FarmVille 2010, antesignano di tantissime app che popolano oggi gli smartphone. FarmVille è un gioco in tempo reale di agricoltura: dato un campo, si semina, si aspetta un certo numero di ore anche in background (a computer spento) quindi si raccoglie, si vende, si comprano altri semi migliorie per la fattoria abbellimenti vari e così via. Il gioco ha alcune caratteristiche fondamentali, è social non perché ci sia interazione con altri nel gioco stesso, ma perché consente di postare sul profilo Facebook i risultati raggiunti e gareggiare, in tempo reale con gli amici a chi ha la fattoria più grande o lo steccato più natalizio. Sarebbe gratuito, ma all’aumentare della dimensione della fattoria, i click per coltivarla diventano tanti, è meglio usare un trattore, peccato però che la benzina richieda acquisti in euro. I videogiochi per console o pc, erano programmi salvati su un supporto fisico che si acquistava una volta per tutte, poi si giocava raggiungendo risultati in base a proprio impegno ed alla propria abilità. La maggior parte delle app invece sono pay to win, basta pagare per vincere e molti pagano volentieri per l’effetto social di far sapere a tutti i propri risultati. Risultati però poco attendibili. Ricordo che all’inizio Candy Crush Saga 2012, si acquistava al costo di un euro per una quindicina di schemi. Poi divenne gratuito, ma gli schemi via via più difficili, con la possibilità di usare dei bonus, aiutini, per non doverlo rifare in caso di fallimento; i bonus si acquistano, ma questo riduce di molto la meritocrazia di un gioco che vorrebbe essere di intelligenza.

Contestualmente alcuni giochi hanno sviluppato la possibilità di editing, costruzione autonoma di mappe e scenari all’interno del gioco, in modo da personalizzarlo e sviluppare la propria creatività. Se in Age of Empire c’è la possibilità di produrre mappe causali, impostando una serie di parametri (tipo di terreno, quantità di risorse, obiettivo, numero di giocatori) per aumentare la longevità del gioco, è con Minecraft 2011 che si ha la libertà assoluta di creare ciò che si vuole, utilizzando una quantità incredibile di cubetti elementari. In questo senso ha portato nel mondo virtuale la fantasia di costruire che Lego ha dato a generazioni di bambini, in un epoca in cui, paradossalmente, i mattoncini assumendo tante, troppe forme diverse, sono diventati più un giocattolo finito che uno spunto di costruzione. La socialità di Minecraft è enorme, non solo per il gioco che consente di invitare altri nei propri mondi o di giocare su mappe messe a disposizione da una quantità di sviluppatori, ma soprattutto per la multimedialità che ha assunto. Il gioco esce dalla console e dal pc e diventa fenomeno di costume nel momento in cui giocatori registrano video delle avventure create e li postano commentati su Youtube, creando canali appositi seguiti da milioni da fans in tutto il mondo. Il fruitore guarda i video, condivisi dagli amici sui social, impara a giocare o accetta sfide, utilizza il gioco, a sua volta posta o condivide contenuti con altri. L’aumentare continuo della connettività ha, in tempi più recenti, creato una serie di opportunità enormi per poter effettivamente giocare in rete in simultanea con altri umani. Tant’è che oggi si trovano piattaforme per darsi appuntamento con amici e giocare online anche ad un redivivo Age of Empires. L’espressione che ha avuto più fortuna in questo senso è, indubbiamente, Fortnite 2017. Nella sua versione a pagamento Salva il mondo c’è la possibilità di svolgere una serie di missioni in cui il personaggio sviluppa la capacità di costruire armi, munizioni e difese sempre più elaborate con i materiali disponibili sulla mappa, per fermare orde di zombie sempre più agguerrite. Ma la modalità che ne ha fatto un successo globale è la gratuita Battle Royale. Cento giocatori si sfidano all’ultimo sangue su di un’isola la cui zona libera si restringe progressivamente, costringendoli allo scontro. Non è un pay to win: le armi si trovano sul terreno ed ogni volta si riparte da zero. Con buona pace dell’omonimo cruento libro che lo ha ispirato, l’ambientazione allegra e fumettosa, i colori sgargianti, i balletti, le musiche, lo rendono appetibile ad un pubblico dai dodici anni in su. Il vero punto di forza è la possibilità di giocare in squadre da quattro, coordinandosi in simultanea con cuffie e microfono: la stabilità della connessione diventa essenziale, un ritardo di un secondo fa la differenza tra essere un cacciatore o una preda. L’esperienza social è pari o superiore a quella di Minecraft: la modalità creativa consente di sviluppare scenari o giocare con i propri amici in mille ambienti diversi. Chiunque può condividere la registrazione di un partita che il gioco fa automaticamente, c’è una profusione di canali Youtube che ne parlano e danno consigli o spiegazioni, addirittura si creano eventi all’interno del gioco, immediatamente ripresi dai social. Rimane uno sparatutto e non un gioco strategico, ma nell’interazione collaborativa, ha un forte valore educativo. Interagire con altri, condividendo un obiettivo, in questo caso pressante, impone di sviluppare una capacità di collaborazione che deve essere più forte del naturale istinto a primeggiare nel gruppo. La reiterazione di questi meccanismi spinge i ragazzi in questa direzione molto più di quanto non riescano a fare schiere di consulenti aziendali profumatamente pagati, specializzati nel cosiddetto team building. Difficilmente una prima donna riesce a battere una squadra da quattro ben coordinata che si supporta reciprocamente: dopo l’ennesima partita si finisce con l’impararlo sul campo, realizzando così la soluzione, collaborativa, all’inefficiente Equilibrio di Nash nel Dilemma del prigioniero. Non sappiamo cosa ci riserverà il futuro, ma l’aumentare della connettività e della tecnologia informatica non potranno che creare altre possibilità di soddisfare l’innata necessità dell’uomo di confrontarsi giocando. Sempre che qualcuno non si accontenti de vedere cosa danno in televisione.