Nel novembre del 1980, usciva “Sentimento di Orta”, un agile silloge poetica di Augusto Mazzetti, poeta ortese a quel tempo da poco scomparso, dove l’autore—profondamente legato al lago d’Orta e ai suoi “abitanti”, s’immedesimava al punto di scrivere, nella poesia “Per essere”: “Oh, lago, lago, lago! Sciogliermi infine con te, per essere un giorno pescato come un antico luccio”. Un lago amatissimo, dove l’attività della pesca veniva così descritta: “Vibra il rame della tirlindana fino sul fondo della corona, il polpastrello seconda il moto segreto in un rito d’amore rapace, quasi un respiro”. E l’isola di San Giulio, per Mazzetti, meritava un’ode poiché “rosa d’albe e di stupore sulle acque garrisci ed ammiccando inviti a delicati approdi tra le nuvole e lo scoglio”. Mazzetti con le sue poesie narrava le giornate passate in piazza Motta, dove attraccavano i natanti, dove s’incontrava la gente e s’intavolavano lunghe discussioni sul più e sul meno, intrecciando i fatti del piccolo borgo affacciato sul lago con le vicende del mondo. Così, in “Scherzo”, guardando le abitazioni scriveva “mostri lacustri, case, mi sembrate d’acqua stillanti e dall’aspetto arcano, dal fondo emersi d’un mondo lontano; ritti sul lago ad asciugare al sole, e le finestre occhiaie immense e gole all’azzurro del cielo spalancate”. Come, a quel punto, non confidare ad un amico, con una punta di malcelata nostalgia “ sui tetti ricordi? Mangiare i limoni, filosofare, l’amore, l’Io, il non Io…Sui tetti guardando il lago: un pesce persico, un cavezzale, muso a muso in passeggiata, solenni e assorti con molto sussiego”. Piero Chiara, forse il più grande interprete letterario della provincia italiana, uomo di lago ( anche se di un lago diverso, più grande e internazionale come il Verbano), rispondendo alle domande di un giornalista di “Panorama” che lo intervistava nel 1981, disse: “Lo scrivere, il raccontare, è per me come il lago per il povero Augusto Mazzetti ; vorrei sciogliermi nelle mie pagine, per essere pescato un giorno, come un antico luccio, cioè come uno dei miei personaggi ideali”. Augusto Mazzetti (1901–1978), giornalista e sceneggiatore di cinema, aiuto regista con Alessandro Blasetti fu anche un grande amico di Curzio Malaparte. In un piccolo opuscolo del 1934 intitolato “Fiammelle” descriveva così—come riportano il blog ortese OrtaLife e il sito web Orta. Net—la nostalgia di una notte di quell’anno sulle rive del Cusio: “Siamo dei malati di nostalgia, e vana cosa per noi è cercare l’oblio. E ogni qualvolta ci è concesso rituffare la mente nel passato del nostro borgo (e sono secoli e secoli che si sospingono in una luce di gloria) gli occhi si posano con malcelato scontento sull’ora presente. Ci piace allora salire al monte, cercare l’ombra pietosa degli abeti e sognare. Così nell’ebbrezza della rievocazione è nata l’idea di una serata ortese, una serata tutta nostra, in cui ci fosse possibile dare libero sfogo all’animo. In poche sere, meste di pioggia, un gruppo di giovani hanno preparata la festa. E fu così che il lago, domenica sera, ha veduto scendere da S. Quirico, sotto forma di tremule fiammelle le anime dei morti ortesi, sul suo ceruleo specchio, e li ha risospinti verso l’Isola trapuntata di luci”. La piazza di Orta non ha mai perduto quel fascino intrigante descritto da Mazzetti e le “anime”—in quel racconto—scendono dal camposanto, collocato a mezza costa sul promontorio di Orta, approssimativamente a metà percorso tra il centro storico e il Sacro Monte dedicato a San Francesco d’Assisi. Da lì, oltrepassata la cancellata barocca in ferro battuto dell’ingresso del cimitero, a fianco della chiesa di S. Quirico, una delle più antiche del lago, s’intravede lo specchio d’acqua che ispirò Mazzetti e tanti altri. E tra Orta e Pella c’è l’isola di San Giulio, nato sull’isola greca di Egina e promotore del cristianesimo sulle sponde del Cusio. L’isola che Gianni Rodari così descrisse nel suo “C’era due volte il barone Lamberto”: “L’isola di San Giulio sembra fatta tutta a mano, come un gioco di costruzioni. Metro per metro, secolo dopo secolo, dandosi il cambio, uomini ed altri uomini le hanno donato forma con il loro lavoro. Se si vede verde, la natura non c’entra: sono i giardini delle ville. Non si vedono rocce, ma pietre, mattoni, vetrate, colonne, tetti. L’insieme è compatto come i pezzi di un rompicapo. Di sera le differenze di colori scompaiono, i profili si fondono, l’isola sembra un monumento in un sol blocco di pietra nera a guardia dell’acqua cupa. Da qualche finestra invisibile parte un raggio di luce, come un cordone gettato per tenere legata l’isola alla terraferma”. Insomma, uno spettacolo che fa salire un groppo in gola.

Marco Travaglini