Arianna – in arte Penelope Purple – è una ragazza con un vissuto affascinante e poetico. Non appena ho sentito parlare di lei ho decido di andare a Roma ad incontrarla. Non ci eravamo mai viste prima, ma – pur conoscendomi da pochi istanti: il tempo di una stretta di mano e un rapido caffè al bancone del bar – mi ha accolta nella sua coloratissima casa e, seduta a gambe incrociate sul tappeto del salotto, mi ha concesso di indagare la sua vita. Mentre rispondeva alle mie domande indossava un cappello bizzarro e maestoso: un copricapo bordeaux degno di una dama medioevale, realizzato interamente a mano da lei. Crea cappelli da tempo, cioè da quando – a soli 23 anni – ha dovuto affrontare l’evento che l’ha stravolta, piegata, e fatta rinascere: un ictus. «Un’esplosione», come la chiama lei che, in qualche modo, le ha stravolto e “aggiustato” la vita, sprigionando un’abilità artistica, fino ad allora, rimasta sopita. È accaduto nel 2007. Arianna, all’epoca, si stava cercando. Da sempre si sentiva un po’ “l’outsider” del suo gruppo di amici. Quella incompresa, quella “strana”. Studiava psicologia, spiega, proprio per questo: per cercare di comprendere il proprio “funzionamento” e quello delle persone che aveva attorno. «Volevo essere indipendente, volevo definirmi». Nel corso di questa faticosa ricerca di sé Arianna era frammentata, contemporaneamente, in mille persone diverse: studentessa universitaria, babysitter, addetta al banco di una pasticceria, impiegata in una scuola… Un groviglio di vite, corse e impegni a cui «non sarebbe stato serio sottrarsi».
Una prova costante di resistenza, tenacia, fatica. Una marcia serrata resa ancor più pesante e dolorosa dai primi sintomi dell’ictus. I primi bagliori sparsi di quell’esplosione che si sarebbe manifestata solo un anno più tardi, cogliendola di sorpresa. «In quel periodo ero in un “pentolone di caos”: mi sentivo stanca, confusa, la mia scrittura era cambiata e avevo continui sbalzi d’umore. Sentivo che nulla stava andando per il verso giusto, ma non riuscivo a capire il perché» e, quindi, rimproverava se stessa: «Mi dicevo “è colpa mia” se non riesco a tenere in piedi tutto, è colpa mia se non ce la faccio. Arrancavo in quel disordine senza riuscire ad organizzare i pensieri: li vivevo tutti addosso, tutti insieme».
«Vai da uno psicologo!» le suggerivano le persone alle quali confidava questo suo disagio, perché – in fondo – «Quando sei una ragazza giovane, carina e vestita “strana”, nessuno ti prende davvero sul serio». Nessuno pensa a una malattia fisica: «Credono tutti che tu sia solo un po’ matta». E invece, eccola, di colpo, durante una serata qualunque trascorsa in giro con amici: l’esplosione.
Tac. Dolore finalmente visibile su lastra nera. Si ferma tutto. Buio, silenzio. Poi la vita riprende, regolare, più o meno come prima. Eppure – anche se apparentemente non ha subito strascichi – Arianna è cambiata. Dalle crepe di quell’esplosione è sfociata la sua arte. «Non so come m’è preso, ma una mattina mi sono svegliata e ho iniziato a creare un cappello in stile vittoriano. L’ho fatto con le piume e con tessuti vari di tappezzerie e passamanerie. Mi faceva stare bene. Guardandolo mi sono detta: “quasi quasi ne faccio altri” e da lì non ho più smesso. Solo dopo, negli anni, ho capito che questa attenzione ai cappelli, e quindi alla testa, era dovuta a quello che mi era accaduto». Per disinnescare quell’«esplosione» ha deciso di farla durare.
I cappelli di Arianna sono la manifestazione visibile del suo mondo interiore, l’eco di un trascorso che l’ha segnata, consentendole però di porre fine quella sfiancante corsa alla ricerca di sé. «Per me creare è una necessità. È il mezzo attraverso cui riesco ad entrare in contatto con me stessa, estraniandomi dal resto del mondo, tanto che a volte mi dimentico persino di mangiare. Ora guardo ciò che realizzo e sento di poter finalmente dire: “Ecco, questa sono”. Nella mia arte mi riconosco» Lo spiega senza presunzione, con il piglio sereno e gentile di chi si sente davvero risolto e, intanto, solleva un cappello bordeaux con bordi ricamati in oro e una grande rosa al centro.
Ne ha realizzati moltissimi negli anni. Li ha veduti nei mercati, nei negozi, online, riscuotendo un grande successo. Al punto che una ballerina di Burlesque, che in passato ha acquistato un suo accessorio, adesso si affida a lei per la cura dei propri look. Oggi la emoziona pensare che molte persone indossino le proprie creazioni: «Sono parti di me che vanno in giro per il mondo insieme a loro. È stupendo, bellissimo». È una persona “nuova”, rinata dopo il buio, tanto da sentire la necessità di chiamare se stessa in un modo diverso: Penelope Purple, appunto.