Cari amici di Forza Italia, dopo decenni di vani abbaiamenti alla Luna, dovreste cominciare a percorrere la via dell’operosità silente.  Ricordo, ad esempio, il Guardasigilli Angelino Alfano, il quale, un giorno sì e l’altro pure, intonava improbabili proclami sul prossimo ineluttabile varo della riforma della giustizia. Capita l’antifona, in commissione giustizia della Camera presentai almeno la riforma possibile del Csm, riportandolo, dopo cento esondazioni, allo stretto dettato costituzionale. Angiolino si spaventò e la proposta non fu mai incardinata. Non ci fu, infine, separazione tra giudici e pm, bensì tra il furbo Angelino, zatterante verso il Pd, e Forza Italia. Il benedetto ripristino delle garanzie costituzionali fu, intanto, derubricato a garantismo ad personam e chissenefrega dei quisque de populo. Toccò amara e simile sorte alla agognata e strillata “rivoluzione liberale”, in cabina di regìa spadroneggiando Gianni Letta, il leader della Stasi, non quella della Ddr, bensì del non muovere foglia, del mai disturbare i poteri forti, iperattivo e dinamico solo nel presenzialismo festaiolo. No Gianni Letta, no party. Zero religione della libertà fu l’esito di mille omelie al vento. Ebbene, anche il recente lancio della commissione parlamentare d’inchiesta sulla magistratura appartiene alla serie dei rumori forzisti inutili e dannosi, essendo funzionale solo al ricompattamento della casta togata nella difesa strenua dello strapotere sulle istituzioni politiche. Zitti e mosca, dunque, basta bla-bla, passate dalle parole ai fatti,  cercando con questa maggioranza e non solo, di approntare in tempo utile una strutturale riforma della giustizia non vendicativa, ma in nome della tripartizione dei poteri.