Si sono concluse il 3 marzo 2024 le repliche di “Un ballo in maschera” presso il Teatro Regio di Torino. L’opera verdiana è stata diretta dal Maestro Riccardo Muti, con la regia di Andrea De Rosa, attuale direttore del TPE Astra; con le scenografie eleganti del pluripremiato Nicolas Bovey. Principali interpreti Piero Pretti, Luca Micheletti, Lidia Fridman, Alla Pozniak, Damiana Mizzi, Sergio Vitale, Daniel Giulianini, Luca Dall’Amico, Riccardo Raos. Maestro del coro Ulisse Trabacchin, costumi di   Ilaria Ariemme, coreografie di Alessio Maria Romano, luci di Pasquale Mari. Era prevedibile il clamoroso successo di “Un ballo in mascherain questa stagione 2024 del Regio di Torino: sia per la bellezza dell’opera, sia per la prestigiosa direzione di Riccardo Muti, considerato il migliore interprete dello spirito verdiano nel mondo, il più grande direttore verdiano di ogni tempo. Diresse il capolavoro per la prima volta a Firenze, circa cinquant’anni fa, come ha ricordato nella presentazione dell’evento a Torino.

L’OPERA

L’opera si ispira a un fatto realmente accaduto nel 1792, quando il re Gustavo II di Svezia venne ferito a morte da un suo cortigiano durante una festa da ballo. La vicenda venne tratta in testo da Scribe e ripresa da vari musicisti.Per ragioni di censura e di opportunità, venne modificata varie volte nel testo, nell’ambientazione di tempi e luoghi, nei riferimenti ai personaggi, nel titolo.  Finalmente, nel 1859 – con la musica e la direzione di Giuseppe Verdi su libretto di Antonio Somma e col titolo che conosciamo- venne rappresentata nella sua versione definitiva presso il teatro Apollo di Roma. Da allora “Un ballo in maschera” ha sempre avuto straordinario successo internazionale. La vicenda, riambientata a Boston, ha per protagonista il conte Riccardo, governatore coloniale. Durante una festa danzante in maschera – per una serie di equivoci e di circostanze imprevedibili – Riccardo verrà pugnalato proprio dal suo migliore amico, Renato, ossessionato dalla gelosia per l’amore fra la propria moglie Amelia e il conte. Ma in punto di morte, Riccardo riuscirà a spiegare la purezza dei propri sentimenti, confermerà l’onestà di Amelia, farà liberare l’amico Renato e infine morirà, rimpianto da tutti. L’opera parla dell’amore struggente, platonico e impossibile, di lealtà, di passione, di gelosia, di amicizia, della sacralità di certi rapporti reciproci che non debbono essere violati.

IL RAPPORTO DEL MAESTRO MUTI CON TORINO

Le aspettative di successo di questa edizione torinese dell’opera sono state ampiamente superate, e per l’ennesima volta il pubblico ha riconfermato l’ammirazione e l’affetto verso il Maestro, amatissimo in tutto il mondo. A margine dell’evento, Riccardo Muti ha espresso ammirazione per l’attività e la storia prestigiosa del Teatro Regio, dove “c’è un modo di essere che forse deriva dall’eleganza della città” e per Torino, città “che amo per finezza, eleganza, sobrietà”, esortandola a conservare il proprio spirito, a non volersi snaturare per conformarsi a modelli diversi, che non le sono propri (a esempio a quello milanese). Parla da uomo del Sud, citando le proprie radici – (“ma non sono borbonico”) – il Maestro di Molfetta, mentre ricorda generosamente l’importanza di Torino per l’Unità d’Italia. Parole significativamente in questo momento storico: sappiamo con quanta attenzione Riccardo Muti selezioni i suoi interventi e scelga le parole.  Reciprocamente, e per l’ennesima volta, il pubblico torinese riconferma l’ammirazione e l’affetto verso il grande Direttore. Del resto, egli è apprezzatissimo ovunque: non soltanto quale grande professionista, ma anche per la personalità affascinante, che esprime al contempo saggezza, sapiente umiltà, impegno sociale e alta levatura intellettuale.

 “CANCEL CULTURE”

Ancora una volta l’Artista si conferma Maestro nel senso più ampio del termine: quello pedagogico, che va ben al di là della musica. Con semplicità e sintetica chiarezza, ha espresso il suo pensiero sul fenomeno della “cancel culture”, spiegando la scelta di rispettare integralmente il libretto dell’opera – quello del debutto di fine ottocento, diretto dalla bacchetta di Verdi – senza alcuna modifica. Senza depurarlo da espressioni che oggi nessuno dovrebbe dire, e neppure pensare.

Per spiegare meglio questo punto, focalizziamo un passaggio della trama. Nella dinamica narrativa, s’innesta l’iniziativa del conte Riccardo, che esita a firmare la condanna all’esilio della maga Ulrica, poiché prima desidera conoscerla. Perciò, travestito da pescatore, decide di raggiungere quella fattucchiera, dalla pelle scura, nel suo antro. La maga predirà allo sconosciuto una profezia sinistra, che difatti si avvererà: sarà presto ucciso da una mano amica. A proposito di Ulrica, nella seconda scena del primo atto, il libretto recita: “s’appella Ulrica, dell’immondo sangue dei negri”. Frase d’altri tempi, oggi inaccettabile per la nostra civiltà contemporanea: così “sconveniente” che – nelle più recenti messe in scena – è stata   talvolta eliminata o modificata in nome del “politicamente corretto”. A esempio, nella edizione scaligera del 2022 (con la direzione di Nicola Luisotti) quella frase era stata sostituita con: “Ulrica, del demonio maga servile”.Oggi –  proprio in nome della “cancel culture” – si moltiplicano le correzioni e le cancellazioni di frasi o le modifiche di situazioni   presenti in opere d’arte del passato, quando siano ritenute distoniche rispetto alla nostra cultura contemporanea.

Eliminare, ritoccare, cambiare le trame e le parole delle opere allo scopo di renderle “politicamente corrette” – per Riccardo Muti –  sarebbe come “imbiancare ipocritamente i sepolcri”. Piuttosto, afferma il Maestro, “dobbiamo correggere il passato, ma nessuno può cancellarlo anche se crudele o sporco”.  Muti evidenzia l’importanza educativa della Storia: “dobbiamo portare in scena anche gli errori del passato perché i giovani possano correggerli, evitarli e trovare la direzione giusta”; certo “non è cambiando la Storia che si aiutano i giovani”.  E raccomanda piuttosto – “in un mondo che sta precipitando” perché “soprusi, orrori ne vediamo ogni giorno” -la ricerca del dialogo, della bellezza, dell’armonia.