Era nato nel 1940, il 2 novembre, ovviamente a Roma. È uscito di scena questa mattina, alle 5 e 30, un’ora in cui chissà quante volte sarà andato a dormire dopo l’ennesimo spettacolo. Ha atteso di non festeggiare così il suo ottantesimo compleanno, forse chissà quante volte avrà pensato, con l’ironia e la voglia di ridere che erano in lui, di farne una battuta, una “mandrakata”, come usava dire, attingendo alle battute di Mandrake in “Febbre da cavallo”, grande successo cinematografico del 1976, con le vicende boccaccesche dei tre amici Mandrake, Pomata e Felice a farci stravolgere di risate. Lui amava ridere. Animale di palcoscenico, tutto dominava, tutti incantava, tutti domava. Non era riuscito a domare la cattiveria, l’invidia, le infiltrazioni politiche nel 2007, quando la “sua” creatura, il “Laboratorio”, scuola di teatro e fucina di scuola per tanti giovani, che faceva capo al Teatro Brancaccio di via Merulana, gli venne sottratto. Fu un momentaccio per Gigi, così innamorato ed idealizzatore dell’arte teatrale. Proprio un “Pasticciaccio di via Merulana”, per dirla alla Carlo Emilio Gadda. L’avevo conosciuto due anni prima, nel 2005, in uno dei miei ritorni nell’amata Roma; mi venne presentato proprio al Brancaccio, dal figlio di miei amici che ne frequentava la scuola teatrale. Occhi pungenti, sorriso dolce con quell’ironia romanesca inimitabile, il vezzo di carezzarsi la barba parlando. Complimentoso il giusto, da grande signore qual era, innamorato della moglie Sagitta e delle figlie. Un caffè insieme, una conversazione de core sulla nostra squadra, la Roma, che quattro anni prima aveva vinto lo scudetto, la sua passione di docente teatrale, l’ottimistica visione del futuro di tanti giovani che stava forgiando, la missione condivisa dell’insegnamento. Finita, suo malgrado, la straordinaria esperienza del “Laboratorio” del Brancaccio, tornò a calcare le scene, un successo dopo l’altro. Qui non è il caso di elencare i suoi capolavori, in questi giorni tutti ne parleranno. Lo rividi a Torino, il 27 aprile del 2013, in “C’è gente stasera?”, al Teatro Colosseo. Lo attesi alla fine della serata, era stanco, ma salutò tutti con il sorriso, il “suo” sorriso, firmò autografi, si prestò a foto. Lo salutai, si ricordò di quell’incontro al Brancaccio, della nostra conversazione nel bar di via Merulana sulla Roma, mi disse che purtroppo il ricordo dello scudetto era ormai perso nella notte dei tempi, ma…dai, se spera sempre! Un abbraccio, un sorriso. Nelle ore che verranno, la televisione ci bombarderà con il suo ricordo, tante immagini ci faranno annacquare gli occhi, torneremo tutti un po’ più giovani a rimpiangere tempi ed un’Italia più lieve, più sorridente, quella che Gigi amava ed interpretava. Grazie Maestro. Ho voluto ricordarti come un amico, in fondo me l’avevi concesso in qualche manciata di minuti di ricordi, di belle parole, di battute su Roma e sulla nostra Roma. In un abbraccio, in un sorriso. Tu, che nel personaggio di Mandrake, dicesti: Potrei esserti amico in un minuto, ma se nun sai ride mi allontano. Chi nun sa ride, mi insospettisce. Roma si appresta a salutarti, ad abbracciarti, a stringersi a te.  Io idealmente sarò lì. Nella città che tanto amavi, nei colori, nei profumi, nella risata e nelle lacrime. Nei sentimenti che tanto sei riuscito a sviscerare nella tua autobiografia del 2013, edita da Rizzoli: “Tutto sommato. Qualcosa mi ricordo”. Raccontare la propria vita non è cosa da tutti. Certo, chiunque può ricordare gli episodi, cercare di storicizzare, fare riflessioni su come passa il tempo e su come cambiano le cose. Ma l’odore della povertà misto a quello del sugo della domenica, i richiami delle mamme ai figli discoli che non tornano per cena, l’allegria irrecuperabile del mercato, le chiacchiere sui marciapiedi, come li spieghi a chi non c’era?… La partita a tressette, la vita in strada, le donne ai davanzali… Tutto questo, come puoi farlo rivivere in chi legge?…