Si può, in nome di un certo umanitarismo, da cui non è peraltro mia intenzione prendere più di tanto le distanze, accusare il ministro Carlo Nordio – almeno fino a questo momento – d’essere insensibile alla situazione di Alfredo Cospito, se è vero, come sembra, che sia Nordio l’unica persona che possa, in virtù del ruolo che al momento ricopre, intervenire a impedire che la situazione di Cospito peggiori. Io non credo che si debbano fare sconti a nessuno e penso che quanti non condividano lo zelo posto nel rispettare il principio dura lex sed lex, possano riferire al popolo italiano un cinismo che (confesserò) non sento mi appartenga. Non dimentichiamoci che le sentenze sono in Italia pronunciate (e all’occorrenza revocate) nel nome del popolo italiano, come si conviene che accada in un paese democratico. Ed io non gradisco che nel mio nome si usi a un essere umano un trattamento che ai miei occhi non trova, allo stato attuale, alcuna giustificazione. Aggiungerò che, secondo me, tanta durezza ripugna anche alla nostra tradizione giuridica. Senza stare tanto a disquisire circa i principi messi a punto dalla scienza giuridica italiana da Cesare Beccaria in avanti, dirò che a quel che so, rimonta all’antica sapienza dei latini non solo il motto citato ma anche l’altro secondo cui summum jus summa iniuria, che non ridimensiona soltanto il precedente, ma in qualche modo lo integra. L’appellarsi alla dura lex ha fondamento ma a patto che alla durezza eccessiva della legge si sappia porre, a seconda delle condizioni concrete, un freno. Altrimenti si rischia di scivolare in una sorta di fanatismo che tarpa le ali a qualsiasi forma di tolleranza, che è un traguardo di civiltà per me irrinunciabile. Ecco perché, al di là degli scrupoli suggeriti da un senso di umana pietà, questa vicenda mi preoccupa seriamente.
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