Il 12 marzo verrà ricordato il centenario della nascita dell’ avvocato Gianni Agnelli, ma già in questi giorni i giornali si stanno occupando di lui, anche se Torino, la sua città, si è rivelata incapace di promuovere anche solo un’iniziativa per ricordarlo. Eppure Agnelli ebbe soprattutto nella sua città uno stuolo di adulatori che hanno profittato del suo nome per far carriera. E’ impossibile, rimanendo nelle dimensioni di un articolo, anche solo tratteggiare la figura di Agnelli, che è stato l’italiano forse più celebre del secolo scorso (morì nel 2003), se si esclude Mussolini. Nessuno ha avuto il suo carisma, la sua notorietà, un apprezzamento quasi generalizzato, se si esclude l’astio spesso volgare di certa sinistra e di parte del sindacato. Di fronte ad una grande personalità come la sua, non ci poteva essere indifferenza: grandi amori e grandi odi. I mediocri che si misero di mezzo con libretti miserabili, dimostrarono solo tutti i loro limiti giornalistici. E’ apparso singolare che il direttore del giornale che fu della Fiat e che è edito da una società presieduta dal nipote, abbia intervistato proprio quel nipote John Elkann, che ha dimostrato anche in questa circostanza tutta la sua inadeguatezza. Invece di ricordare il nonno di cui certo non è l’erede, ha parlato di cosa avrebbe fatto oggi Agnelli di fronte al Covid ed ha evocato persino Greta, che avrebbe suscitato sicurante l’interesse dell’avvocato. Un’intervista tanto lunga quanto inutile, per capire chi sia stato Agnelli, un personaggio fuori dagli schemi, un uomo davvero fuori ordinanza. Sul nonno si esprimerà anche l’altro nipote Lapo e sarà divertente leggere le cose che dirà. Finora nessuno ha colto la necessità di storicizzare la figura di Agnelli, andando oltre i miti ed oltre le demolizioni fatte da certi piccoli giornalisti in questi anni. Al liceo d’Azeglio venne rimandato di tutte le materie per un 7 di condotta, ma appena ottenuta la maturità, Agnelli, ufficiale di Cavalleria, si fece la campagna di Russia e la campagna dell’Africa settentrionale. Due aspetti contrastanti che rivelano l’impossibilità di definire con una formula un uomo così fuori dagli schemi. Ebbe una giovinezza ricca di svaghi secondo i desideri del nonno, il senatore Agnelli e del prof. Valletta, il ricostruttore della Fiat dopo la seconda guerra mondiale. Svaghi soprattutto con molte belle donne, una passione che rimase in lui anche oltre il matrimonio con una donna affascinante ed eccezionale, come Marella Caracciolo. Ma insistere su questi particolari appare puro gossip. Quando nel 1966 Valletta gli lasciò la presidenza della Fiat, Agnelli seppe dimostrare capacità notevoli, anche se la sua Fiat fu una sorta di monarchia costituzionale, rispetto a quella assoluta del nonno e di Valletta. Senti la necessità di fare un’impresa davvero internazionale come solo parzialmente aveva fatto Valletta, con la costruzione di uno stabilimento in Russia e i molti viaggi all’estero. Preferì delegare le funzioni operative e fino a quando confermò Gaudenzio Bono, le cose andarono per il verso giusto. Tra i vari manager che si succedettero ai piani alti di corso Marconi alcuni non furono all’altezza ,soprattutto Cesare Romiti che pensava di coprire i deficit con i contributi statali. Fu un grave errore di Agnelli aver allontanato un tecnico come l’ing. Ghidella e questo allontanamento segnò la crisi del settore auto che si rivelò impreparato a competere con altre marche entrate nel mercato. Agnelli cercherò di riequilibrare quelle perdite con l’impegno in altri ambiti. Ma, secondo chi scrive, malgrado la sua abilità, egli si trovò contro un sindacato ideologico che non aveva intenzione solo di difendere i diritti dei dipendenti, ma di mettere alle corde la Fiat. Dal ‘69 in poi ci fu un eterno autunno caldo per molti anni fino alla marcia dei quarantamila. In quegli anni la Fiat perse capacità produttiva e competitività. Il prestito internazionale del Presidente non bastava a far reggere un marchio in crisi. A Mirafiori circolavano in fabbrica terroristi e fiancheggiatori. Questo fu il clima intollerabile in cui visse la Fiat. Certamente anche la Fiat commise i suoi errori e la costruzione della fabbrica di Rivalta non fu una scelta felice, come riconobbe lo stesso Agnelli. Anche la politica che portò alla costruzione degli stabilimenti al Sud creò problemi e tensioni. La delocalizzazione in Polonia e in altri Paesi garantì alla Fiat di tirare il fiato perché a Torino la situazione era problematica. A Torino ci si illuse di sostituire la Fiat con il turismo, una follia che solo gli epigoni minori del clan Agnelli sostennero con le Olimpiadi invernali del 2006, Olimpiadi che Torino ebbe esclusivamente per il prestigio internazionale dell’Avvocato e per l’abilità di un Sindaco come Valentino Castellani. Al di là delle luci e delle ombre che caratterizzarono Agnelli, resta il fatto che ci troviamo di fronte ad uomo che oggi meriterebbe uno storico come Piero Bairati, che fu biografo mirabile ed equilibrato di Valletta. Ebbi modo in più occasioni di avvicinarlo, di conoscerlo e di pranzare con lui. Sono stato amico di alcuni suoi amici come Soldati e Gawronski. Non mi lascio annebbiare da questi fatti ma resto fermamente convinto della sua grandezza. Meritava eredi migliori. La morte del figlio Edoardo, che non era assolutamente in grado di succedergli, e la morte di Giovannino, figlio del fratello Umberto, tolsero continuità alla sua opera. I nipoti non sono degli Agnelli non solo perché portano un altro cognome. Una cosa ritengo di rilevare, parlando della sua famiglia, fatta anche da gente mediocre che è vissuta nel privilegio di possedere delle quote aziendali: la figura di Umberto Agnelli, che è vissuto anche in termini imprenditoriali nel cono d’ombra di Gianni, merita una grande attenzione, perché era un uomo e un imprenditore di grande talento.
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