Volendo trarre un senso da una nota vignetta recentemente apparsa su un quotidiano ad ampia tiratura, e che tanto sta facendo discutere, direi che l’autore accusa il ministro Lollobrigida di sollevare problemi pretestuosamente politici che hanno sì e no a che fare con fatti di costume, i quali seguono una loro logica. Contro questa logica la cosa meno sensata è ricorrere a leggi che pongano un freno a supposte “derive” che non sono altro che segno dei tempi che cambiano. Il detto proverbiale “mogli e buoi [sic! cioè senza allusioni di sorta] dei paesi tuoi” ha ormai fatto il suo tempo ed è forse il caso di ripescare quell’altro adagio secondo cui “tutto il mondo è paese”.
In soldoni e per dirla un po’ fuori dai denti: siamo stufi di vedere i nostri politici, e la stampa nazionale che gli fa eco, agitare questioni che non hanno alcuna rilevanza politica, come la faccenda dell’abbattimento dell’orsa o quella della maternità surrogata o l’altra della maestra che fa recitare le preghiere in classe. Date in pasto a un pubblico disinformato che non si chiede quale sia il contesto preciso nel quale certi fatti si verificano, queste “notizie” vengono facilmente distorte, diventando pretesto per discussioni che facilmente si trasformano in chiacchiere da bar. La verità è che si tratta oltretutto di fatti che toccano un esiguo numero di persone e che il buon senso e l’attuazione di norme esistenti da parte di pubblici funzionari, mediamente capaci e responsabili, dovrebbero bastare a risolvere.
Ad aggravare la situazione è la difficoltà che tanti italiani oggi hanno a intendere la satira, la quale si costruisce anche appellandosi a paradossi, a ipotesi remote, per cui capita, ad esempio, che un San Francesco redivivo o un Giulio Cesare a spasso per la Roma dei nostri tempi si domandino smarriti, davanti a certe realtà per noi normali e per loro stravaganti, dove mai siamo andati a finire. Ma nessuno veramente ritiene che un “mettiamo che…” sia qualcosa di più che non una remota congettura con aspetti paradossali. Nella vignetta ci sono due ipotesi fantasiose che messe insieme muovono al riso, la prima è che una donna sposata possa avere un amante, ipotesi buttata là, tanto per introdurre la seconda che l’amante possa essere un uomo di colore, prototipo del “non italiano” per chi ragioni di “sostituzione etnica”, ignorando completamente il fatto che tanti cittadini italiani oggi (come già ieri) non appartengono a un’etnia italica, perché una tale etnia non è mai esistita. La seconda ipotesi, più remota e tale da apparire paradossale, è quella che crea comicità. Qualcosa del tipo di lei che legge: “qual è il colmo per un razzista? Essere tradito dalla moglie con un uomo di razza diversa dalla propria” (pausa). “Parleranno mica di noi, caro?” “Ma no, cara, tu non sei razzista!”
Ma non è colpa del vignettista se lo humor latino è diverso da quello inglese, che, volendo, ferisce ancora di più, perché “punge” di più, come direbbe Lilli Gruber.
La “volgarità” sta tutta in un’interpretazione malevola che consiste nel fermarsi alla prima ipotesi che può apparire offensiva della rispettabilità di una signora e sotto certi aspetti lo è. Ma è anche vero che su questa premessa si sorvola, andando dritti alla insinuazione maliziosetta ma umoristica a cui vuole arrivare l’autore che descrive una situazione paradossale, che comunque si voglia mettere la cosa, suscita una qualche ilarità.
A volte cose inaspettate si verificano ed è nota la vicenda di uno scrittore francese dell’Ottocento, assai focoso nelle giostre amorose, che fu tradito dalla moglie – da lui posseduta (a quanto si dice) nove volte nella prima notte di nozze – con uno che all’epoca aveva fama d’essere “un mezzo uomo”.
Ma tu guarda…
Venendo alla vignetta, direi che l’autore, tutt’altro che sessista, ritiene che una moglie possa sentirsi legittimamente delusa dal sospetto (il semplice sospetto, si badi!) che il marito, impegnato in politica, si dia da fare per rendere complicati gli affari semplici e ignorare quelli delicati e complessi. E potrebbe vendicarsi. In fondo nella vignetta c’è appunto un rimprovero del genere.
Ma per quanto tempo ancora Arianna, che ha dato il filo a Teseo, deve poi essere da lui piantata in Nasso? Che non significa necessariamente, la volta che ci si ponga da un punto di vista femminile, che l’uomo se la spassi con altre donne, quanto piuttosto che non stia ai patti. Ti ho dato il filo non perché tu promettessi di uccidere il Minotauro annunciandone spavaldamente la fine, ma perché trovassi il coraggio di affrontarlo e di prenderti cura di me. E invece il Minotauro, cioè i problemi veri e autentici degli italiani, stanno lì ad aspettare che qualcuno li risolva, sconfiggendo il mostro, mentre tu vai a caccia di farfalle…
Insomma, parlando seriamente, io non credo, in buona fede, che il problema dei migranti – che è un problema europeo – possa risolversi con decisioni unilaterali prese dal governo italiano che, finché l’Europa non abbia messo a punto delle strategie a riguardo, si senta in diritto di rigettare a mare degli infelici. Fa parte della nostra tradizione un certo spirito di ospitalità e credo che a tanti italiani non piaccia esser confusi con quell’incivile di Polifemo che accoglie Ulisse, uccidendone alcuni compagni. Sulla spiaggia di Cutro tante vite innocenti di bambini non possono essere state piante invano. Il problema va impostato discutendo in Parlamento la questione. Il governo non può su questo piano non cercare un’intesa con le opposizioni.