Parlare del Cile di 50 anni fa, oggi che tutto è cambiato …? Mica vero, certe cose le vediamo ancora adesso, perché il Cile ha fatto scuola. Assistiamo oggi, marzo 2023, a un “funerale laico” (azzeccato titolo del Tg La Sette) sulla spiaggia di Cutro, con gesti e riti ispirati alla devozione cattolica. Proprio come la Iglesia popular latinoamericana e, appunto, come gli slogan e i canti cileni di Unidad Popular, che abbondantemente attingevano a un certo misticismo cristiano: cortei politici dove si ostende una croce costruita con i frammenti dell’imbarcazione naufragata, manifestanti con in mano bandiere della Cgil e dell’Anpi inginocchiarsi sulla sabbia del lido calabrese, poi sospingere e affidare al mare una corona come quelle dei funerali in chiesa …
Iglesia popular. Ero presente a manifestazioni in El Salvador nel febbraio 2009, per le ultime elezioni dove la disfida era fra la Destra dura di A.Re.Na e il Frente, ossia i due eredi diretti della guerra civile che aveva insanguinato il paese nei decenni addietro. Si assisteva, nei giorni immediatamente precedenti al voto (quelli in cui convincere gli incerti) a sincretiche processioni che portavano crocifissi, madonne e icone di martiri (senza ironia, martiri davvero, sacerdoti e catechisti trucidati dall’Esercito o dai paramilitari), dove le litanie non erano lauretane, bensì slogan a ritmo quinario «Fuera asesinos de El Salvador …». Con la fotocamera registrai pure l’omelia della messa conclusiva: un accalorato comizio, violenza verbale come un pugno nello stomaco, scroscianti applausi, cerimonia liturgica o adunata politica? In certi contesti geografico culturali i confini tra le due sfumano …
Ebbene il Cile degli anni ’60 e di quel tragico triennio 1970-73 era pregno di questo impasto. Si pensi alla canzone con cui Victor Jara vinse il 1° Festival della Nueva Canciòn Chilena, dove la forma è quella del Padre Nostro e però l’invocazione non è al Trascendente ma all’immanente, al contadino stesso, che solo può redimersi attraverso «l’alleanza con i lavoratori della città per costruire la società del Domani» (come ci dice l’esegesi esplicativa allegata al disco di vinile).
(…) Salvaci [tu, o contadino] da chi domina sulla miseria./ Portaci il tuo regno di giustizia ed eguaglianza. / (…) Venga la tua volontà qui sulla terra (…) / Alzati e poi guarda le tue mani, / per crescere stringile a quelle del fratello, / insieme andremo uniti nel sangue / adesso e nell’ora della nostra morte / amen, amen, amen.
Una redenzione attraverso la lotta, l’utopia del Regno di Dio realizzato sulla terra. Come si diceva il mese scorso, è un filo rosso che percorre tutta la storia del continente (illuminanti e vivamente da consigliarsi i contributi dello storico Loris Zanatta).
Ora, non occorre un grande teologo per capire questo: le icone, il vocabolario, i riti cattolici sono mero involucro, esteriorità con cui fasciare persone, vicende e valori che sono non laici ma, semplicemente, profani e civili, strumenti prestati alla lotta politica. La quale nel caso specifico può esser pure nobile e giusta ma è altro dalla Fede. Ovviamente c’è un aspetto surrettizio: con quei rituali ti conquisto la simpatia di chi a essi è affezionato; così che persone di indole mite che del cristianesimo accoglievano i valori del perdono e della riconciliazione te le porto, attraverso un’enfasi sui diritti, ad atteggiamenti rivendicativi, di appoggio alla ribellione, anche violenta, fino a giustificare la lotta armata.
E fu questo infatti lo sbocco di ampi settori cattolici: «Il riformismo è una via intransitabile e impossibile: esso serve soltanto a distrarre il popolo dalle vere mete globali della rivoluzione» (Doc. finale del 1° incontro latino-americano dei “Cristiani per il socialismo”, Santiago del Cile, aprile 1972). «Non ci può essere liberazione senza rivoluzione e costruzione del socialismo» (Risposta del Comitato coordinatore dei “Cristiani per il socialismo” a una lettera del card. R. Silva Enrìquez, marzo 1972).
Siamo in marzo e, lo avevamo promesso, del marzo 1973 dobbiamo parlare. Ma se non si capisce l’atmosfera vissuta allora (i cileni dentro la tragedia del loro paese e noi del Nord che ci siamo crogiolati in certi miti), se non capiamo il contesto non arriveremo mai a penetrare, a superare, a riconciliarci.
Via democratica significa consenso, il consenso si misura (innanzitutto) con le elezioni. Tante volte abbiamo letto di Allende: «la prima personalità politica al mondo dichiaratamente marxista ad esser stata eletta democraticamente alla carica di Presidente». Ecco perché divenne subito un’icona della Sinistra.
Ora, quanto consenso aveva Unidad popular e, soprattutto, per fare che cosa? Brevemente ricordiamo le elezioni presidenziali del 4 settembre 1970: gli elettori erano stati poco meno di tre milioni, S. Allende (1.076 mila voti) 36,6; lo tallonava J. Alessandri (destra) 35,3; R. Tomic (Democrazia Cristiana) 28,1. Poi, secondo Costituzione, nessuno avendo la maggioranza assoluta, il Congresso aveva scelto fra i due più votati. Tomic aveva fatto convergere i suoi su Allende ma la sua linea, ulteriormente più progressista del già riformista Frei (nazionalizzazioni, riforma agraria), aveva lasciato malumori. Quindi una maggioranza aritmetica solo parlamentare, cui non corrispondeva nel paese, neppure nel 1970, un consenso sul programma di Unidad Popular.
Programma che era, va ribadito, realizzare il socialismo: la totale socializzazione dei mezzi di produzione; come in Urss.
Il 4 marzo 1973 (medio termine) si ebbero le elezioni del legislativo, rinnovo totale della Camera dei deputati e metà del Senato. Il presidente era consapevole che non avrebbe conservato la maggioranza. Tuttavia era vitale per lui che l’opposizione non superasse la soglia dei due terzi al Senato, perché in tal caso il procedimento di messa in stato d’accusa (impeachment) avrebbe avuto corso. U.P. prese il 43%, la opposizione, unita in un’unica Confederaciòn Democràtica, CoDe, il 54,7. Non solo il presidente era salvo ma destò pure un certo stupore che, a fronte di una criticissima situazione economico-sociale egli avesse comunque progredito quasi di un 7%.
Fra il personale addetto all’esame dei registri elettorali un ingegnere, tale Santiago Moràn, osservò come vi fossero tantissimi nuovi elettori dell’ultimo momento, tutti iscritti in alcuni seggi, di nuova costituzione, disseminati fra Santiago e la costa. In tali sezioni elettorali U. P. otteneva sorprendenti percentuali, talvolta del 90%, mai sotto l’80%. Si trattava delle provincie in cui si sarebbero eletti pure i senatori: così la CoDe non raggiunse al Senato il quorum per la destituzione del presidente. Furono costituiti specifici organismi di indagine: Istituto di Scienze politiche, Scuola di Diritto dell’Università cattolica del Cile, Camera dei deputati: le conclusioni furono che risultavano trecentomila voti fraudolenti a favore di U.P., circa il 10% dei suffragi.
Il paese era tribolato anche da altri problemi. Sempre in marzo il governo provò a varare la ENU, Escuela Nacional Unificada: in una nazione abituata a un’ampia offerta scolastica, con orientamenti culturali e religiosi diversi, le dichiarazioni del presidente circa «la urgenza di creare un Uomo nuovo», destavano in chi già era critico un allarme per la libertà educativa. Ci fu una estesa reazione di rigetto, genitori, studenti, docenti, intellettuali, mondo della cultura. Al nostro “Corriere della Sera” l’ex presidente Eduardo Frei disse: «ci stiamo incamminando verso un totalitarismo di tipo marxista». Dopo un primo atteggiamento positivo, successivamente (forse spiazzata dalla reazione della società civile) persino la Chiesa cattolica (solitamente benevola verso Allende) stroncò la ENU come «Un progetto educativo che non rispetta i valori cristiani e neppure i valori umani fondamentali». La riforma della scuola di fatto venne accantonata.
Dopo la paralisi del paese dell’autunno precedente (camionisti, agricoltori, commercio e professioni), ora un altro grande sciopero si profilava: stavolta era la mitica classe operaia. Cominciarono le miniere di El Teniente, chiedevano miglioramenti salariali: era stato loro promesso il sol dell’avvenire, ora l’inflazione mangiava tutto. Trovarono l’appoggio dei minatori di Chuquicamata e poi di vari sindacati e degli studenti. Dopo tre mesi di lotta dura i minatori decisero di marciare da Rancagua a Santiago: furono attaccati da organizzazioni di fiancheggiatori di U.P (un minatore rimase ucciso) e persino da supporter del Partito socialista (12 feriti e la morte del figlioletto di un sindacalista). Come già con la scuola il governo dovette cedere.
«Allende aveva il consenso, l’esperienza fu soffocata con la forza» è un assunto che occorre riesaminare: a) il consenso elettorale? b) Il consenso generale nel paese? c) Il consenso delle masse lavoratrici? A noi che ci poniamo queste tre domande pare quasi venire a rispondere la dichiarazione – proprio in quelle settimane – del segretario generale del Partito comunista del Cile, Luis Corvalàn: «E’ chiaro che nel corso di un processo rivoluzionario può venire imperioso passare dalla ‘via pacifica’ alla ‘via armata’ (…) Mai abbiamo pensato che la via della Rivoluzione cilena debba essere una via esclusivamente elettorale». Tuttavia, ti vien da pensare, avranno avuto per la testa idee di rivoluzione (che vuoi, era il loro humus culturale) ma tutto sommato quale delle due parti era armata e chi in definitiva, l’11 settembre, ha usato la forza?
In aprile ci toccherà verificare con elementi di fatto, e non solo sulla base delle dichiarazioni politiche, il grado di armamento e il progetto rivoluzionario di Unidad Popular.
(2 – continua. Precedente 28 febbraio)