Raccontare la storia non è mai un fatto scontato e quando si cerca di superare gli steccati disciplinari, travalicando metodi, aggregando diversi elementi in un disegno composito, l’operazione diventa molto interessante e originale. E’ il caso di Piemontesi di Britannia, importante libro di Andrea Raimondi sui legami spesso invisibili che intercorrono tra la regione subalpina occidentale e il Regno Unito. Se poi la scrittura mantiene una efficacia comunicativa che si accompagna al rigore della ricerca delle fonti e dell’argomentazione, il risultato può essere piacevolmente sorprendente. Andrea Raimondi, novarese di nascita, laureato in Lingue e Letterature dell’Europa e delle Americhe presso l’Università del Piemonte Orientale e con un dottorato in Italian Studiespresso l’irlandese University College Cork, collaboratore della la rivista Savej, impegnatissima a divulgare la cultura piemontese, si era già segnato per l’impegno di ricerca su diversi temi. Tra le sue pubblicazioni più note si segnalano Il multilinguismo degli scrittori piemontesi – Da Cesare Pavese a Benito Mazzi (Edizioni Grossi, Domodossola) e Emigrazione piemontese – Una storia che si ripete, in Rapporto Italiani nel Mondo 2017, a cura di Delfina Licata per la Fondazione Migrantes. Nel poderoso volume Piemontesi di Britannia si sofferma su aspetti che spesso vengono scarsamente considerati dalla storiografia generale come se non avessero la dignità che meritano le indagini sugli scambi e rapporti individuali, le contaminazioni culturali che influiscono nel corso del tempo tra Stati, Imperi e regioni. Raimondi si è posto l’obiettivo di affrontare una prospettiva storiografica capace di mettere in rilievo i molteplici rapporti tra entità territoriali differenti, prendendo come riferimento le relazioni “speciali” che nei secoli hanno avvicinato il Regno Unito all’attuale regione piemontese. Le ragioni che spiegano i motivi di questa originale e antica “amicizia” sono seguite da dieci capitoli dedicati ad altrettanti personaggi (incluso un personaggio particolare: il Vercelli Book, conosciuto anche come Codex Vercellensis, uno dei quattro antichissimi manoscritti in lingua anglosassone, datato intorno al 975) che, in modo diverso, hanno contribuito a tracciare e irrobustire il ponte che idealmente unisce le isole britanniche al Piemonte. Per parecchi dei personaggi trattati (come il cardinale Guala Bicchieri, il musicista Felice Giardini, il pittore vigezzino Giuseppe Mattia Borgnis e sir James Hudson, ultimo rappresentante britannico nel Regno di Sardegna) non esistono biografie aggiornate, mentre per Samuel Morland (matematico, inventore e diplomatico ingiustamente dimenticato) sono stati pubblicati profili biografici in lingua inglese, ma mai in italiano. Interessantissimi anche gli altri profili da David Rizzio, politico e compositore, segretario privato di Maria Stuarda, regina di Scozia, al critico e poeta torinese Giuseppe Baretti, noto anche lo pseudonimo di Aristarco Scannabue, dal leggendario maleschese Giovan Maria Salati, autore dell’impresa di attraversamento del canale della Manica a nuoto fino al grande scrittore albese Beppe Fenoglio del quale quest’anno si celebra il centenario della nascita. Gli intrecci e le dinamiche delle loro vite si intersecano con la grande storia, accompagnando il lettore alla ricerca dei fili invisibili ma ben saldi che legano il Piemonte dalle dentate e scintillanti vette di carducciana memoria al Regno sul quale sventola l’Union Jack.
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