L’architettura barocca dell’Esame di Stato per il conseguimento del Diploma di scuola media superiore raggiunge quest’anno vertici di bizantinismo sinora inesplorati. A fronte di una sostanziale ripetitività della didattica tradizionale (nonostante la retorica dell’innovazione e le dispute pedagogiche di importazione), i balletti normativi intorno alle modalità di svolgimento della maturità si susseguono incessanti, vano palliativo a una vera riforma dell’istruzione, dei contenuti, delle metodologie, dei tempi, di cui ormai non si parla nemmeno più. Tre prove scritte, no nessuna, anzi due. Crediti scolastici con peso 25 su cento, poi 40 su cento, quindi derogati e convertiti in sessantesimi, quest’anno in cinquantesimi. Griglie di valutazione ministeriali, no elaborate dalla commissione, articolate in indicatori e declinate in descrittori. In centesimi ma da convertire in ventesimi, quest’anno in quindicesimi e in decimi per la prima e la seconda prova scritta rispettivamente. Prove nazionali, no per commissioni, anzi per istituto. Bonus di 5 punti  con soglia a 17 e 70, poi a trenta e cinquanta, quest’anno a quaranta e quaranta. Ok, tutto molto educativo. Formativo. Introduce alla cultura dei cavilli propria della legislazione italiana in quasi tutti i campi. Che dire? Niente di nuovo, da sempre i 0reali problemi della scuola e del sistema formativo non interessano a nessuno in questo Paese. Il sistema di reclutamento, le risorse, i finanziamenti, i programmi di studio, le metodologie didattiche, gli esiti formativi, l’aggiornamento, gli incentivi, le carriere, la valutazione, ecc. La scuola viene considerata settore prioritario solo per le questioni di immagine, formali, funzionali a scopi politico-sociali di secondo livello, in altre parole quelle di rilievo mediatico, sindacale ed elettorale.