Cinque anni fa il Corriere della Sera ospitò una mia lettera che riporto. “Al vertice NATO di Varsavia hanno deciso di mandare in Afghanistan dei Musulmani sunniti turchi a sparare fianco a fianco con dei Cristiani contro altri Musulmani sunniti (i talebani).  Una bella pensata: c’è da chiedersi chi spara a chi. In Iraq e Siria, a combattere l’Is (sunniti) sono solo le milizie sciite, ma questo non ha insegnato nulla”. Passati 5 anni, la letterina mi è tornata alla mente quando abbiamo assistito al “liquefarsi” dell’esercito afgano. Guerrieri da sempre gli Afgani, non certo dei codardi. Ma quello non era l’esercito “afgano”: era una milizia di Musulmani sunniti che nello zaino tenevano il Corano, non Tocqueville, e ai quali si chiedeva di combattere in difesa di una cultura che considerano estranea e ostile. Chiamati a battersi contro altri credenti  in nome di valori che nella loro cultura sono disvalori, dopo aver letto la Sura IV, 93 (“chi uccide intenzionalmente un credente avrà il compenso dell’inferno, dove rimarrà in perpetuo”). E’ lecito sospettare che certi decision makers occidentali non abbiano capito niente? Non sarebbe la prima volta; e la cosa è preoccupante. La storiaccia afgana è solo un tassello di un quadro nel quale grandi e medie potenze si confrontano per la conquista di egemonie regionali o globali. Tutte quante sono armate fino ai denti, tutte quante combattono guerre per procura. E chi sta a guardare rischia l’irrilevanza.  La Cina si accaparra materie prime con l’obiettivo di soffocare e colonizzare il sistema produttivo del mondo occidentale. La Turchia  sogna di rifare l’Impero Ottomano, per intanto egemonizza il Mediterraneo orientale e gioca le sue carte in Libia. La Russia si muove attivamente sullo scacchiere afgano pensando alla Repubbliche islamiche nate dalla dissoluzione dell’Unione Sovietica; poi insegue il sogno zarista di affacciarsi sui mari caldi  (per cominciare, ha “messo su casa” a Latakia). L’Iran coltiva, oltre al sogno di distruggere Israele, anche nostalgie imperiali. La vecchia Persia non dimentica il retaggio (avesse almeno conservato l’illuminismo di Ciro il Grande!). Tutti questi attori, quando siedono a trattare,  sul piatto della bilancia pongono la spada di Brenno. Veniamo a noi, e cioè all’Europa. C’è un Regno Unito che ha fatto la sua scelta: il suo peso anche militare, tutt’altro che trascurabile lo ha portato in dote alla grande potenza con la quale ha sempre avuto una “relazione speciale” imposta da motivi storici, gli USA. E poi c’è la UE, che ha sempre scelto di dedicare al welfare le risorse che altre potenze hanno impiegato per spese  militari. Questa “inermità” è figlia (o madre?) di un connotato dell’Unione , l’inesistenza di un politica estera (probabilmente un connotato ineliminabile, ma questo è un altro discorso: basti pensare a quella parlamentare e funzionaria Pd che è stata per anni “Ministro degli Esteri” dell’UE, e della quale si stenta persino a ricordare il nome. Comico poi, se non fosse tragico, il tentativo di trasformare in un successo il disastro afgano esaltando lo splendido ponte aereo. “Curagi fieui che scapôma”. Su questa situazione, una valutazione istruttiva è quella espressa dal generale Claudio Graziano che è – nientemeno –  Presidente del Comitato Militare della UE. (lettera al Corriere della Sera, 10 Settembre u.s.). Non ignaro che l’UE è disarmata, propone di istituire un “pacchetto di forze operative” finalizzato a “difendere quel bene comune che è la sicurezza dei cittadini europei”, pacchetto che consentirebbe anche di “rispondere in maniera efficace” alle future crisi. Una specie di “ super Protezione Civile”?  Con “crisi” forse è da intendere crisi umanitarie. No, non sembra che l’UE sia avviata ad inserirsi da protagonista nel Grande Gioco. Virtuosamente e profeticamente continuerà a cercare “dialoghi”, e però “i profeti disarmati ruinorno”, scrisse il Segretario Fiorentino.  Auguri a tutti noi.