Il periodo tra fine Ottocento e primo Novecento (1870 – 1914) viene ricordato come il periodo delle grandi trasformazioni conseguenti alla rivoluzione industriale che in Italia però ha avuto una progressione più lenta rispetto agli altri grandi Paesi europei. Un fattore forse meno evidenziato che ha contribuito in modo sostanziale ai cambiamenti socioculturali dell’epoca è stata anche la progressiva diminuzione dei tassi di mortalità con il conseguente innalzamento dell’età media dovuti al miglioramento delle conoscenze scientifiche e delle condizioni igieniche. Il forte aumento della popolazione, unitamente allo sviluppo industriale, ha avuto come conseguenza un aumento sensibile delle migrazioni soprattutto verso le città e le sue fabbriche. Questa concatenazione di eventi ha portato a modificare sostanzialmente l’entità, le tipologie e le modalità dei consumi, anche se occorre sempre far le opportune distinzioni tra territori e classi sociali. La classe rurale continuava a nutrirsi di polenta, pane, legumi, raramente carne, alimentazione che comportava scarso apporto di vitamine e proteine. Non molto diverse erano le condizioni degli operai con una dieta insufficiente e monotona, anche se in questo ambito si cominciano a delineare delle differenze tra gli operai di basso livello e quelli specializzati che godono di un reddito più alto e possono permettersi un’abitazione decente, discreti consumi alimentari e qualche svago. Nasce l’orario fisso in fabbrica e “il tempo libero” a disposizione del singolo che lo impiegherà in diverse attività e svaghi sempre più pubblicizzati e sul quale nascerà una vera e propria industria con proposte di gite, spettacoli, teatri, eventi sportivi. Osserviamo quindi che alcuni intrattenimenti, in precedenza prerogativa della borghesia, cominciano a calare verso il basso, ma osserviamo anche come alcune tradizioni passano dal basso all’alto: ad esempio alcune pietanze, cosiddette povere e originariamente contadine, cominciano a comparire sulle tavole borghesi. A proposito dei borghesi, anche questo modello sociale è destinato a mutare nel tempo: se prima si identificava con mercanti e artigiani ora passa progressivamente ad identificarsi con imprenditori e finanzieri, per poi allargarsi a professionisti, funzionari e impiegati nei diversi settori di attività. Importante è sottolineare che per tutte le categorie citate la quota maggiore di spesa per famiglia era rappresentata dall’alimentazione, e che tale quota in Italia è decisamente più alta rispetto agli altri Paesi europei. A conferma di come il valore del cibo, quale elemento di convivialità, condivisione e socialità abbia da sempre rappresentato un tratto distintivo importante della nostra cultura, trasversale a tutte le classi sociali. La distinzione tra classi si evidenzia di più nella fruizione culturale: frequentando caffè, circoli e ristoranti, possibilmente dei grandi alberghi, una volta riservati solo ai nobili. Riguardo a questi ultimi, il loro numero si va assottigliando così come, per molti di loro, le ricchezze, mentre resta intatta la loro determinazione al mantenimento dello status, per esempio a tavola dove l’etichetta resta fondamentale nel corredo, nell’estetica dei piatti e nella formale sequenza delle portate, ma anche in cucina, popolata ora da domestiche e cuoche, al posto dei cuochi dei tempi dei fasti. Tornando al tema dei consumi tra fine Ottocento e inizio Novecento, è evidente lo stretto rapporto che intercorre tra produttori e consumatori. In questo periodo l’Italia è divisa tra economia tradizionale e industriale: esporta prodotti alimentari e agricoli ed importa semilavorati e prodotti industriali, mentre resta ancora vivace la pratica dell’autoconsumo. Con il tempo avverrà il balzo verso il consumo di prodotti industriali (molti ancora in uso oggi), offerti in forme di imballaggio ancora rudimentali e caratterizzati più da alimenti secchi che freschi, questi ultimi non certo presentati in maniera sofisticata come quella oggi molto diffusa della “calibratura” (frutti tutti perfetti, sani ed identici nella misura e nel colore). I vini, gli oli, i grassi, la pasta etc. raramente recano etichette e sono perlopiù venduti sfusi in botteghe di vicinanza. Le botteghe e le fiere di paese sono forme molto antiche di commercio; le fiere in particolare, oltre a proporre merci altrimenti difficilmente reperibili, rappresentavano un importante occasione di incontro e di festa. Con la crescita della popolazione cittadina si rese necessario garantire una continuità e capillarità nella distribuzione dell’offerta e questa esigenza portò, almeno nei centri urbani più grandi, alla diffusione dei mercati coperti, ancora oggi esistenti e molto frequentati. A fianco dei banchi del mercato all’aperto e delle botteghe, modeste nell’arredo e nella qualità delle merci, cominciarono a fiorire i negozi eleganti ed i caffè di lusso, seppure in numero ancora limitato. È in questo periodo che le industrie, grazie alle innovazioni nelle tecniche produttive incominciano a produrre su larga scala ed avvertono la necessità di reclamizzare i propri prodotti per affermarsi sul mercato, creando il brand, ovvero la marca identificativa del produttore, che ha un duplice valore: informativo e valoriale. Parigi, prima tra le grandi città europee, dà vita alle Gallerie commerciali, luoghi coperti, luminosi ed eleganti, punteggiati di ristoranti e café, su cui si affacciano le accattivanti vetrine dei negozi alla moda: luoghi di passaggio (Passage) in cui ritrovarsi. Da Parigi questa moda e soprattutto questa architettura verrà replicata in tutta Europa con esempi eleganti anche in Italia, come le Gallerie di Milano, di Napoli, di Torino. Il passo successivo è rappresentato dai Grandi magazzini situati in uno stabile ad essi interamente dedicato ed è innegabile che questa forma di commercio (che sfocerà con il tempo negli attuali Centri commerciali) abbia rappresentato un cambiamento radicale sui modi e sui tempi di offerta e fruizione di beni di consumo. Lo sfavillio, l’eleganza e la varietà delle proposte fanno ben comprendere come i Grandi magazzini abbiano colpito l’immaginario collettivo ed abbiano riscosso tanto successo. Appaiono come simboli del progresso, luoghi con tanta varietà di merci offerte tutte insieme allo sguardo e al consumo in un ambiente confortevole ed elegante. Luoghi di svago, e non solo di acquisto, impreziositi da una scenografia efficace ed accattivante. Non ultimo, luoghi accessibili ad una platea più eterogenea rispetto ai negozi di lusso o ai più modesti mercati e botteghe.
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