Ricordiamo i risultati delle ultime elezioni politiche, tenutesi nel mese di marzo del 2018? Molti sarebbero stati pronti a scommettere che la diciottesima Legislatura del Parlamento, quella ancora in corso, sarebbe durata pochissimo. Invece, si sono formati due governi, espressioni di maggioranze politiche molto diverse fra loro, entrambi guidati da Giuseppe Conte, il quale non è un parlamentare, ma un avvocato e un docente universitario. Conte avrà un suo posto nei libri di storia per essersi trovato a governare in condizioni difficilissime: la pandemia del Covid-19 costituisce un evento davvero storico, di portata internazionale, con il quale tutti gli Stati del mondo stanno facendo i conti e che non è ancora sotto controllo. Il secondo governo presieduto da Conte, in carica dal mese di settembre del 2019, ha, tra l’altro, il grande merito di avere ricostituito un rapporto positivo con l’Unione Europea. Merito che va riconosciuto anche al Partito Democratico e, in particolare, all’attuale ministro dell’Economia, Roberto Gualtieri. In precedenza Gualtieri era parlamentare europeo e gli ottimi rapporti che egli aveva saputo stringere con le persone al vertice delle Istituzioni dell’Unione Europea e con molti capi di stato e politici di Paesi Europei, hanno contribuito a fare sì che l’Italia fosse vista con occhi più favorevoli. Noi abbiamo bisogno di avere un rapporto positivo con l’Unione Europea, così come l’Unione Europea sa che l’Italia è un Paese importante ed indispensabile per la stabilità degli equilibri politici europei. In relazione alla grave emergenza sanitaria che ha colpito in modo serio l’economia non soltanto italiana, ma dell’intera Europa – così come, del resto, non c’è alcuno Stato al mondo che non abbia subìto contraccolpi negativi – l’Unione Europea ha previsto un Piano di “ricostruzione”. Questo Piano dovrebbe dotare l’Italia di risorse economiche di un ammontare complessivo inimmaginabile rispetto alle dinamiche economiche degli ultimi anni. Da decenni, come Paese, siamo abituati a stringere la cinghia per cercare di risanare conti pubblici sempre più disastrati. Con tentativi “eroici” di riportare la situazione economica sotto controllo; immediatamente contraddetti, poco dopo, dall’esigenza di alimentare comunque la spesa pubblica per ottenere consenso sociale, quindi elettorale. Le risorse che ora potrebbero venire dall’Unione Europea, se ben amministrate, potrebbero tradursi in investimenti in opere pubbliche durature. Si tratterebbe di porre in essere interventi strutturali per potenziare, e così rilanciare, l’economia italiana. Alcuni servizi pubblici primari, a partire da quello sanitario, potrebbero essere organizzati meglio e resi più efficienti attraverso l’assunzione in pianta stabile di nuovo personale qualificato. Al contrario, se queste risorse fossero sprecate e dilapidate con una serie di spese a pioggia per incassare un consenso sociale immediato, alla fine, tra cinque, dieci anni, l’Italia si troverebbe in una condizione gravissima: con il rapporto tra Prodotto interno lordo (PIL) nazionale e Debito pubblico che si attesterebbe su livelli così alti, da rendere poi sempre più difficile al nostro Paese contrarre ulteriori debiti per approvvigionarsi. Fa impressione vedere il Parlamento autorizzare, in rapida successione, uno scostamento di bilancio dopo l’altro, facendo crescere in modo consistente, ogni volta, l’entità del Debito pubblico italiano. Tutti si rendono conto che non si potrà continuare a lungo a distribuire “ristori” alle varie categorie economiche costrette a fermare l’attività per l’emergenza della pandemia. Tutti si rendono conto che non si può rinunciare a tempo indeterminato ad incassare le entrate per il Fisco, che i contribuenti sarebbero tenuti a versare sotto forma di imposte e tributi vari. Senza entrate, cioè senza risorse, non si può finanziare alcuna politica, né alcun servizio pubblico. L’economia deve al più presto ripartire ed il Piano di ricostruzione finanziato dall’Unione Europea è l’unica possibilità che ci viene offerta per riprenderci. La nostra classe politica ha una responsabilità enorme, se vuole fare il bene dell’Italia. L’impressione che ho tratto, per quel poco che posso intendere dai resoconti dei giornali e degli altri organi di informazione, è che la maggioranza politica che sostiene l’attuale Esecutivo presieduto da Conte non sia adeguata a reggere ad una prova così decisiva. È chiaro di cosa ci sarebbe bisogno. Progettare senza sprecare. Privilegiare la capacità organizzativa piuttosto che accontentarsi di aprire la bocca per fare sempre nuove promesse. Puntare su poche nuove opere, davvero importanti e destinate a durare, le quali dunque potrebbero fare la differenza rispetto al passato. Le chiacchiere sulla “Green economy” e sul digitale, da sole, non sono sufficienti. Nell’estate del 2019 Matteo Renzi, al tempo ancora iscritto al Partito Democratico, fu determinante affinché il Parlamento respingesse la fin troppo perentoria richiesta, avanzata dal leader della Lega, Matteo Salvini, di andare subito allo scioglimento anticipato delle Camere. Senza l’iniziativa di Renzi, non ci sarebbe stato il secondo governo Conte. Questo tutti dovrebbero avere l’onestà intellettuale di ammetterlo. Renzi sapeva benissimo, però, che una maggioranza parlamentare della quale la componente numerica di gran lunga più importante era il Movimento Cinque Stelle, poteva servire a fare un tratto di strada, ma non poteva durare a lungo. Perché troppo eterogenea. Perché la storia e la cultura politica del Movimento Cinque Stelle sono quello che sono. Molti parlamentari del Movimento sono persone perbene; nel senso che non approfittano del denaro pubblico per arricchirsi individualmente. Non hanno, tuttavia, la minima idea di come funzioni l’economia. Per loro tutto si risolve nel redistribuire risorse economiche ai ceti sociali più svantaggiati, o in difficoltà. Dunque spesa pubblica, spesa pubblica e ancora spesa pubblica. A partire dal reddito di cittadinanza e a finire ai “bonus” per l’acquisto di monopattini elettrici. Non comprendono che per avere ricchezza da distribuire, bisogna prima produrla. Prima di dare a ciascuno una fetta di torta, bisogna che la torta ci sia. Pensano invece che la “torta” si produca con l’indebitamento; in un passaggio successivo teorizzano la moratoria del debito pubblico. Lungo questa strada non soltanto loro, ma il Paese nel suo insieme, purtroppo, non andranno molto lontano. Perché l’economia internazionale ha le sue regole ed è capace di durezze, che ci possono sembrare inimmaginabili, nei confronti dei popoli che vogliano campare come le cicale. Molti di noi – io mi metto fra questi – in passato abbiamo avversato in ogni modo la Democrazia Cristiana, ritenendo che distruggesse l’economia italiana con la sua politica demagogica e con un sistema clientelare portato a raffinatezza scientifica. Oggi ci troviamo di fronte ad un altro partito “della spesa”: il Movimento Cinque Stelle. Finora non si è reso responsabile di pratiche clientelari, né di corruzione della vita pubblica. È vero. Qualunque siano i fini per i quali si spende, l’effetto ultimo è, comunque, che i conti pubblici non possono più tornare in equilibrio. Dal mio punto di vista tra un democristiano “fradicione” di un tempo ed un “cinque stelle” attuale che gioca a fare l’intransigente, non cambia gran che. Perché il bilancio economico del Paese va sempre a farsi benedire. Per onestà intellettuale devo precisare che il Movimento Cinque Stelle ha anche contribuito a determinare qualche buon risultato: ad esempio, la riduzione del numero dei parlamentari che, dopo il voto referendario, si è tradotta nella legge costituzionale 19 ottobre 2020, n. 1. Nei limiti delle mie possibilità, ho sostenuto in ogni modo quella riforma costituzionale. La quale, si badi bene, non è stata inventata dai Cinque Stelle, ma viene da molto più lontano. Poiché mi trovo in argomento, ricordo che la legge elettorale vigente, la legge n. 165 del 2017, è stata già aggiornata, automaticamente, per consentire che la riforma costituzionale venga immediatamente applicata. Di conseguenza, non è necessario approvare una nuova legge elettorale, per la quale non esiste un consenso politico sufficientemente ampio. Dal mio punto di vista, meglio non approvare alcuna nuova legge elettorale se si vuole ritornare ad un sistema proporzionale. Matteo Renzi ha fiuto politico. Lo ha dimostrato con l’iniziativa di far dimettere i rappresentanti di Italia Viva dal governo Conte. Commentatori il più delle volte malevoli attribuiscono a Renzi soltanto intenzioni meschine. Si pensa che non vada oltre il calcolo dettato dalle proprie ambizioni personali. Invece, il pensare che una maggioranza politica con il Movimento Cinque Stelle sia stata un rimedio temporaneo e non possa durare, significa interpretare un fatto oggettivo. Almeno lo è dal mio punto di vista. Cosa fare? Secondo me, la razionalità politica imporrebbe che una cosa di così fondamentale importanza come il Piano di impiego delle risorse da destinare alla “ricostruzione” venisse concordato con le maggiori forze parlamentari di opposizione. Tanto più che una netta maggioranza delle Regioni italiane ha, al momento, governi che sono espressione di un indirizzo politico di centrodestra. Sempre secondo me, la razionalità politica impone che una maggioranza politica così scalcagnata come quella che oggi esprime il secondo governo Conte non possa, da sola, eleggere il nuovo Presidente della Repubblica, alla scadenza del mandato del Presidente Mattarella. L’attuale Capo dello Stato è stato un buon Presidente, saggio, equilibrato, rispettoso della Costituzione. Ha svolto le sue funzioni di garanzia nell’interesse di tutti, anche affinché non si strappasse il legame tra l’Italia e l’Unione Europea. Il nuovo Presidente non deve essere un politicante di seconda fila, chiacchierone e demagogo, indifferente nei confronti delle dinamiche della spesa pubblica. Di conseguenza, il nuovo Presidente della Repubblica non va eletto da questo Parlamento, in cui ci sono maggioranze ballerine e raccogliticce. Deve essere eletto da un nuovo Parlamento, pienamente legittimato dal voto popolare appena espresso. La mia idea di Presidente della Repubblica mi fa pensare a Mario Draghi. Vedremo se ci saranno le condizioni perché possa rendere questo ulteriore servizio all’Italia. Per realizzare le due esigenze che ho indicato serve un governo di “tregua” istituzionale che faccia una sola cosa: approvi un Piano di ricostruzione economica concepito nel modo migliore possibile, ossia curato dal punto di vista della fattibilità tecnica delle misure proposte, e largamente condiviso politicamente, tanto dal centrodestra, quanto dal centrosinistra. Per poi andare rapidamente allo scioglimento delle Camere e a nuove elezioni, da tenersi già nel mese di maggio, o nel mese di giugno del 2021. Tenuto conto che alcune forze politiche, come ad esempio Fratelli d’Italia, hanno dichiarato di essere indisponibili ad andare al governo con partiti di centrosinistra e considerato che è bene che il Movimento Cinque Stelle resti fuori dal governo perché questa è la condizione perché il Piano economico possa essere una cosa seria, si potrebbe ipotizzare una nuova maggioranza politica composta da due forze di centrosinistra, il Partito Democratico e Italia Viva, e da due forze di centrodestra, la Lega e Forza Italia. Al Senato i gruppi parlamentari delle quattro formazioni citate dispongono, insieme, di 170 senatori. Il numero potrebbe crescere con il sostegno di altri senatori del Gruppo delle Autonomie e del Gruppo Misto. Una maggioranza più che solida. Alla Camera i gruppi parlamentari delle quattro formazioni citate dispongono di 343 deputati. Anche in questo caso il numero potrebbe aumentare se ci fosse il sostegno di alcuni deputati del Gruppo Misto. È chiaro che un governo come quello proposto non potrebbe essere presieduto ancora dal Presidente Conte: una terza differente formula politica sarebbe un eccesso, per una stessa persona. Per quanto mi riguarda, scarterei presidenti non parlamentari. Per un governo di tregua e a tempo serve come guida un professionista della navigazione politica e parlamentare. Vedrei bene, ad esempio, il senatore Pierferdinando Casini, che è stato Presidente della Camera, ha una storia politica di centrodestra, ma dialogante col centrosinistra. Alcuni obietteranno che di fronte agli oltre ottantamila morti, vittime del Covid-19, dal mese di marzo dell’anno scorso ad oggi, è irrispettoso anche soltanto pensare ad elezioni anticipate. Onoro quei morti, come tutti dovrebbero fare. Il modo migliore per onorarli, tuttavia, non è certo quello di lasciare che l’Italia vada in malora. È curioso che tanti sedicenti “democratici” facciano di tutto per evitare le elezioni. Quando la situazione del Paese è molto difficile e la rappresentanza parlamentare si dimostra incapace di fronteggiare l’emergenza, non resta altro da fare che restituire la parola ai cittadini.
Palermo, 13 gennaio 2021
Livio Ghersi