L’analisi storica del Professor Quaglieni – come sempre obiettivo, illuminato e concreto – apparsa sul Magazine di ieri , mi spinge a proseguire il discorso sull’Italia ancora divisa oggi.Chissà come vivremo tutti noi italiani questa giornata del 25 aprile , 75° dalla Liberazione, tra discorsi, senso di patria unita, ricordo di un’Italia che usciva a brandelli da una seconda guerra mondiale e da una guerra civile. La domanda viene perché, nei giorni scorsi, non si è trovato  neppure un bandolo che desse alla matassa Italia un senso di unità. Neanche uno piccolo che servisse a riportare lo Stivale al tricolore che sventolerà in questo fine settimana.La verità è che l’Italia è divisa: è divisa anche da un virus che la colpisce in quantità e modi diversi ; è divisa di conseguenza sul da farsi nell’emergenza ; è divisa politicamente in ogni sede parlamentare, italiana ed europea.Se è vero l’antico detto che ” l’unione fa la forza” non siamo messi bene.La prima divisione l’ha fatta dunque la diversità della propagazione del contagio.La seconda ne è figlia : è evidente che , a seconda della situazione vissuta dai territori, questi sentano necessità diverse : di apertura (come Lombardia e Veneto ) o di chiusura ulteriore ( come la Campania ). Ma è pur vero che : o quel 25 aprile è una data da libro di storia di cui si fa solo memoria, oppure è una festa viva e come tale andrebbe vissuta.Non a caso, con il suo tatto ma esplicitamente quanto a parole usate, il Presidente della repubblica Sergio Mattarella per ben due volte ha sentito la necessità in questo periodo di parlare agli italiani. Parole dovute ad un Paese in una emergenza come mai prima, ma anche ad un Paese che fa fatica a marciare compatto.Come sta andando , lo raccontano le cronache dell’ultima settimana : il nord, pur più pesantemente colpito, spinge per la ripartenza e si muove studiando la scaletta d’avvio per una fase 2 ” fai da te”, ipotizzando chi potrà aprire e in che modo , fermo restando il placet degli esperti.Da giornali e tv giungono però notizie dissonanti: da una parte politici e industriali con il piede sulla ripartenza; dall’altra esperti – come Giovanni Rezza – premono su quello della prudenza , dato che l’Italia permane in fase 1 e sono poco assennate le corse in avanti.Il tutto con un sud tanto oggettivamente privo delle risposte clinico-sanitarie del nord, quanto capace di imprudenze che costringono poi a blindature ( tipo la chiusura dei confini regionali).La terza divisione si è consumata nelle sedi parlamentari: le voci coronabond e mes hanno acceso gli animi del- le opposte fazioni prima a Roma , poi a Bruxelles , quando l’euro parlamento è stato chiamato a decidere quali strumenti mettere in atto per affrontare l’emergenza Covid-19.Un’ emergenza che in Italia, salvo forse nei giorni della prima paura , non è servita da collante neanche per il tempo sufficiente a bypassare il peggio. Di norma, nessun equipaggio pensa all’ammutinamento in piena tempesta : prima c’è da salvare la nave e la pelle. Pena il naufragio.Gino Bressa