Dopo l’esplicazione della necessità di una “Via media” tra Ragione e Religione (assunto che, per onestà intellettuale, si indica, trae ispirazione dai molto noti Maestri della spiritualità occidentale e orientale come il Beato John Henry Newman e il Buddha Shakyamuni), in ragione del fatto che la predominanza dell’una sull’altra ha sempre avuto riscontri non positivi per l’uomo, occorre, a parere dello scrivente, procedere oltre con una tematica affine che attiene specificamente al lato pratico della tematica affrontata precedentemente.

Infatti, dal “divorzio” tra Ragione e Religione, ovvero il progressivo distanziamento dell’uomo dalle realtà spirituali (a causa dell’aumento del benessere socio-economico derivante dal progresso), è emerso, sul lato pratico, una totale perdita di conoscenza sul corretto approccio al sacro.

Sul tema basti pensare al corretto approccio di ogni praticante una data Confessione Religiosa alle c.d. pratiche fondamentali.

In specie basti interrogarsi sulla corretta conoscenza dell’atteggiamento, dell’intenzione ovvero della motivazione che occorre avere durante una preghiera, una puja o la recita di un mantra. Ma non solo, cercando di indagare più a fondo, nelle cose ancora più basilari del credo, ci si interroghi ancora su cosa significhi “preghiera”, “puja” o “mantra”.

La risposta a tali interrogativi, nel periodo storico attuale, non è ovvia, mancando (come si diceva nell’articolo sulla “Via media” tra Ragione e Religione) un corretto approccio della Ragione con la Religione.

Ecco così che la preghiera non è più per tutti ascolto del divino prima della parola (chi prega si mette in ascolto prima di chiedere), ma diviene per lo più una sorta di attività di igiene mentale, volta alla ricerca del benessere. Lo stesso valga per le puja, ossia quelle pratiche di adorazione, omaggio e rispetto verso il divino, divenute pratiche di mera ricerca di buoni auspici, anziché le pratiche fondamentali per la connessione intima con il sacro e l’emersione dei buoni sentimenti, della sincerità, della dedizione, della concentrazione e della manifestazione di una mente pura.

Discorso a parte, ma analogo, valga per la recita di mantra (dal sanscrito: manu – mente; traya – liberazione/protezione), ossia la ripetizione di sillabe o parole capaci di stimolare e influenzare la mente in modo positivo, per la manifestazione di capacità innate. In merito è pratica assai comune, infatti, recitare mantra per la mera ricerca di benessere o come formule di buon auspicio, senza porre minima attenzione sul necessario e fondamentale lavoro sulla mente.

Ciò considerato, apparendo evidente una generalizzata mancanza di conoscenza degli approcci corretti e delle pratiche fondamentali del credo seguito, ci si interroga sulla corretta conoscenza degli insegnamenti del credo.

Anche tale domanda, come le precedenti, trova risposte non edificanti e non giustificabili, sopratutto in un’epoca in cui l’accesso alla conoscenza è aperta e di ampia disponibilità.

Infatti, si assiste al prevalere del “sentirsi informati” sul “volersi informare”, con ciò generando un’alterazione abnorme dei significati (ciò valga anche per ambiti non solo religiosi). Problematica in cui si incorre notoriamente quando, per usare le parole del Lama Yongey Mingyur Rinpoche (riprendendo le parole udite da un Guru indù), si vogliono masticare sassi quando non si sa masticare neanche il burro.

I significanti, così, vedono alterati i loro contenuti, perdendo la loro identità.

Ad oggi non si è ancora trovato rimedio a tale illusione di conoscenza (tant’è che sono sotto gli occhi di tutti le manifestazioni di estremismo e fanatismo religiosi), lasciando ad i singoli la maturazione di quel desiderio di conoscenza necessario a coltivare la cultura e l’intelligenza.

Tale desiderio, però, non deve lasciar spazio “all’arroganza della conoscenza”, altro grande male dell’uomo, occorrendo tenere sempre a mente un grande insegnamento socratico: “so di non sapere”.

Questo insegnamento, valido e utile anche in epoca moderna,  vuole essere un’ostacolo alla ricerca di conoscenza per l’appagamento di desideri intimi di tipo egoico, quali l’autoesaltazione o la ricerca di adorazione altrui, rispetto al perseguimento della conoscenza per scopi volti all’emancipazione dell’uomo ed all’aiuto reciproco.

Laddove si manifesti la citata “arroganza della conoscenza” è logicamente conseguente il concretizzarsi dell’assoggettamento della Ragione alla Religione ovvero della Religione alla Ragione per scopi, (come anzidetto a riguardo della “Via media tra Ragione e Religione) manipolatori volti all’appagamento di desideri di tipo egoico.

A ben vedere però, “arroganza” e “illusione della conoscenza”, come insegnano i grandi Lama buddisti (rifacendosi ai profondi insegnamenti del Buddha), non sono altro che aspetti dell’ignoranza dell’uomo. Ignoranza che va debellata, come fosse un virus, attraverso la conoscenza e la sperimentazione di quanto appreso, con l’atteggiamento umile di chi sa di non sapere e vuole emanciparsi per essere migliore.

In tema di spiritualità ciò, però, non basta e occorre integrare alla conoscenza la corretta pratica dei riti e un autentico atteggiamento di fede.

Per mezzo di tali strumenti, alla portata di tutti, è così permesso andare oltre i propri limiti. Ed è così che la conoscenza sostiene la spiritualità e viceversa

Tale sostegno è il fondamento per un nuovo equilibrio interiore, capace di porre ogni uomo nella condizione di misurarsi con il mondo e di misurarlo al tempo stesso.

Ciò non vuol dire universalizzare se stessi e le proprie esperienze, bensì accettare la realtà per come si manifesta ed imparare a conoscerla in ogni suo aspetto.

Tale equilibrio interiore, inevitabilmente si ripercuoterà nelle relazioni con il prossimo, ingenerando quell’auspicabile nuovo percorso umano del dialogo autenticamente amicale tra Confessioni Religiose differenti e tra diverse culture a contatto.

Sul punto molto si è fatto e si farà sul tema, molte sono le iniziative come le INTERNATIONAL RELIGIOUS FREEDOM ROUNDTABLE, ma tutto dipende da ogni individuo, dal suo vivere il quotidiano, dalle cose più basilari a quelle più complesse.

Ecco perché risulta fondamentale per tutti, tornare a voler imparare e, quindi, a coltivare la conoscenza, nonché ad imparare ad ascoltare ed apprendere da chi possiede realmente la conoscenza. Tutto ciò, chiaramente, con atteggiamento umile e di profondo rispetto.

Poi, a chi seguisse un credo religioso è richiesto un quid in più, ossia praticare correttamente i riti e maturare fede.

Ricominciare dalle basi: pregare, fare delle puja, o recitare mantra nella maniera corretta e senza fretta.

Nella preghiera, imparare ad ascoltare il divino, prima di parlare, è un ottimo allenamento per la mente al rilassamento ed al dialogo con il prossimo; e conoscere il significato della preghiera, non solo razionalmente, è un buon allenamento per la mente alla compassione.

Nella puja, invece, imparare la corretta esecuzione delle pratica vale come allenamento alla concentrazione, mentre la manifestazione dei corretti atteggiamenti interiori ed esteriori fanno si che emergano il rispetto per se stessi e per il prossimo, il riconoscimento della sacralità di ogni cosa e della corretta relazione con il mondo.

Infine, per quanto attiene la recita dei mantra, si richiama quanto detto per la preghiera e la puja, avendo ogni mantra un’incidenza diversa sulla mente di ogni praticante.

In buona sostanza, dalle pratiche fondamentali di ogni credo, ne deriva, per ogni praticante, un effetto benefico per sé e per il suo prossimo, divenendo così delle pratiche spirituali non solo per un fine salvifico individuale, ma anche a beneficio di tutti, realizzando una società di pace.