Ho avuto un costante rapporto per un po’ di anni con Giorgio Bocca, di cui quest’anno ricorre il centenario della nascita. Considerato un maestro di giornalismo, a lui è intitolato il Master che si svolge presso l’Università di Torino. Era una persona difficile, spigolosa ed anche abbastanza superba. I nostri rapporti erano addolciti dall’amicizia che io avevo con la sorella Anna, che aveva sposato il capo partigiano Benedetto Dalmastro e con Aldo Viglione, che era stato partigiano nelle valli cuneesi come Bocca, Aldo autonomo e Giorgio giellista. I nostri rapporti si interruppero quando Bocca attaccò aspramente Giampaolo Pansa per il “Sangue dei vinti”, che io ritenni un libro coraggioso che colmava una lacuna che gli storici della Resistenza non avevano avuto il coraggio di affrontare. Bocca fu politicamente ondivago: in gioventù fu fascista convinto con toni volgarmente antisemiti. Poi andò in montagna dopo l’8 settembre e rimase sempre attaccato all’esperienza partigiana di cui scrisse una storia che appare disomogenea:la sottovalutazione delle Divisioni Alpine di Mauri ne sono un esempio clamoroso. Socialista,non si può considerare tra quelli che si accodarono al PCI e questo risulta già di per sé un gran merito. Il suo libro su Togliatti, spesso non citato tra le sue opere, è forse l’opera migliore perché incominciò a smantellare il mito che i comunisti avevano costruito attorno al loro leader. <<Un libro senza timori reverenziali>>, lo definì il comunista Luciano Canfora,ma altri comunisti lo considerarono un’eresia dissacrante. Oltre all’iniziale fascismo, Bocca prese anche altre cantonate quando nel 1975 considerò le BR una favola raccontata dai servizi segreti . Dopo qualche anno dovette ricredersi pubblicamente di questa incredibile sottovalutazione. D’altra parte, nel 1971, fu tra i firmatari del manifesto che armò la mano dei sicari del commissario Luigi Calabresi ingiustamente accusato dell’omicidio dell’anarchico Pinelli. Bocca collaborò a lungo con le televisioni di Silvio Berlusconi ,salvo poi diventarne acerrimo nemico. Inizialmente fu sostenitore di Craxi,che poi divenne uno dei suoi bersagli preferiti. Si considerò un “Antitaliano” dal titolo delle sua famosa rubrica su “L’Espresso”. Ebbe all’inizio persino qualche simpatia per Bossi e la sua furia giacobina e giustiziera. Fu anche coraggioso quando si chiese il perché del silenzio attorno a due giornalisti di destra come Giovannino Guareschi e Gianna Preda. E non fu tra gli esaltatori di Pier Paolo Pasolini, scrivendo con durezza che era di “una violenza spaventosa nei confronti dei suoi amici puttaneschi”. Di fronte ad un personaggio imprevedibile e anche contraddittorio, mancato da poco più di dieci anni, lo storico deve rinviare un giudizio, riconoscendo le indubbie capacità giornalistiche di Bocca che sicuramente è entrato nella storia del giornalismo.Un giudizio di sintesi oggi non è possibile.
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