Con gratitudine ho accolto la vostra lettera che annuncia per il prossimo 11 febbraio, promosso dal Centro Pannunzio, il ricordo pubblico di mio marito Giampaolo Pansa, l’uomo che amo infinitamente dopo trent’anni di vita insieme.

Rammento bene la sua soddisfazione per l’onore che gli avete riservato nel 2006 assegnandogli il premio Pannunzio. Così come ricordo con piacere la bella serata al Cambio di Torino con molte e molti di voi.

Se fossi presente a Torino, vi direi che: “ Giampaolo Pansa è un giornalista onesto e con la passione della verità. Un uomo libero che mai ha rinunciato, neppure nell’ultimo periodo, a indossare il suo binocolo per osservare da vicino i volti, i vizi, gli errori e le miserie della politica italiana. Durante tutta la sua intensa vita professionale ha indagato con il binocolo anche la storia d’Italia, una passione intellettuale mai venuta meno fin dai tempi della laurea ottenuta a Torino.

“Sono un rompiscatole”, lo dichiara lui stesso nel titolo della propria biografia e lo è come giornalista e come scrivente (così ama prendersi in giro) dei mali italiani, compresi quelli della sua categoria alla quale ha dedicato almeno quattro libri. Tutti scomodi, come scomodi sono soprattutto i libri degli ultimi vent’anni su fascismo e antifascismo. Ossia quelli sulla guerra civile e sulle vendette che ne sono seguite.

Lui, un bambino della guerra, il primo a fare con Alessandro Galante Garrone una tesi sulla guerra partigiana, quella tra Genova e il Po. Lui onorato dal Presidente Ciampi e nominato Grande ufficiale della Repubblica per i suoi scritti sulla Resistenza, la sua patria morale. Lui, ahimè, odiato e avversato senza pudore persino ora che non può rispondere da par suo. Pietre dello scandalo i suoi libri cosiddetti revisionisti, “Il sangue dei vinti” e quelli venuti dopo.

Io pretendo rispetto per l’onestà personale e intellettuale e professionale di Giampaolo. Non ha mai creduto nella conciliazione nazionale di origine politica. Ha sempre ritenuto che la vera pacificazione passi invece dal non negare la sofferenza di chi la guerra l’ha persa e dei famigliari di chi stava dalla parte che lui ha sempre considerato sbagliata: i fascisti. E’ la pietà tra italiani che può sanare il male profondo che ci divide ancora oggi.

E’ convinto che l’esistenza di differenti valutazioni e interpretazioni sulle vicende storiche delle nazioni, specie le più tragiche qual’è appunto una guerra civile, sia la condizione che conduce alla verità. Dissodando senza preclusioni terreni non percorsi o negati prima, i veli e le divisioni si attenuano. E nella chiarezza infine cadono. A beneficiarne non è soltanto la storia, ma la vita contemporanea di una comunità nazionale. A patto però che, nel confronto, ci sia libertà assoluta dei protagonisti e l’assenza di preclusioni o di incrostazioni ideologiche di parte. Un male che lui non cessa mai di denunciare.

Lo spirito con il quale Giampaolo si è avvicinato al mondo dei vinti, fino a farne i protagonisti dei suoi libri degli ultimi vent’anni, è stata la convinzione che all’inizio del Duemila fosse arrivato il tempo della ragionevolezza di chiudere l’antica stagione di odio e di vendette fratricide. Insistendo sugli errori e sulle nefandezze commesse anche da una parte dei vincitori, vuole riconoscere il dolore che i vinti hanno vissuto circondati dal silenzio. Non è andata così ed è stata forse l’ultima occasione.

Ama definirsi “storico della domenica”, attribuendosi la qualifica di dilettante. Io che l’ho visto al lavoro e accompagnato per tanti anni, non posso considerarlo tale. E’ un instancabile cercatore di carte, di testimonianze orali, di fascicoli, di foto, di pubblicazioni locali, di manifesti, di prove a sostegno e contrarie alle sue tesi. Un propositore di domande e di interrogativi continui, un lettore attento di tutto, specie di chi la pensa diversamente da lui. Insomma applica alla sua ricerca storica il metodo e la curiosità che lo hanno reso grande giornalista e cronista stupendo. Oltre che pittoresco nei suoi ritratti non di rado impietosi.

Condivido come lo ha presentato Antonio Polito sul retro di copertina del “Rompiscatole” in edicola con “Il corriere della Sera”: “Pansa era un magnifico esempio di giornalista schierato. La polemica più aspra e anche personale era il suo attrezzo del mestiere. Però era schierato solo con le sue idee e il suo modo di vedere le cose. Prendeva parte, ma la sua. Non era al servizio (intellettuale) di nessuno. Che lezioni ci ha dato!”.

In conclusione, care amiche e cari amici del Centro Pannunzio, assicuro a voi e a tutti i presenti che alle mie parole non fa velo l’amore per Giampaolo, uomo buono e generoso con tanti. E neppure fa velo l’immenso senso di perdita nel quale mi trovo ad arrancare e mi impedisce di parlare di lui al passato”.

Grazie di cuore, Adele Grisendi Pansa   

San Casciano dei Bagni, 6 febbraio 2020