Anni Quaranta del Novecento. Nell’alto Trentino la guerra sta per finire, ma gli anziani e le donne del paesino di Vermiglio non lo sanno, non la vedono: è al di là di quell’abbraccio rassicurante di montagne che li ha sempre protetti, ma che potrebbe disfarsi da un momento all’altro. Forse al prossimo passaggio di un aereo e ogni altra volta in cui dovranno correre a barricarsi nelle povere case di pietra, a chiudere gli scuri, a spegnere le lampade trattenendo il fiato, finché il pericolo non avrà attraversato il cielo. La sentono fra loro, quella guerra. È nelle poche parole, trattenute dall’ansia, delle madri che hanno i figli al fronte. È negli occhi di chi attende una lettera, o la teme. È nel farsi coraggio tutti a vicenda, ritrovandosi all’osteria per bere un bicchiere di vino e ballare le musiche di sempre. È nel riunirsi in Chiesa per le processioni e le ricorrenze: rituali rassicuranti, pause illusorie dal pensiero di un “altrove” sempre presente. A Vermiglio sono tutti madri e padri degli stessi figli, tutti accomunati dalla stessa angoscia. L’austero maestro Graziadei cerca di parlare della guerra con i bambini. Scrive alla lavagna la parola “epistolare”, e chiede loro se abbiano ricevuto qualche lettera dai propri padri: un espediente delicato per porgere domande che non potrebbero essere dirette. Dice senza dire, con l’empatia del padre e l’autorevolezza del docente, raccomandando al bimbo che non riceve notizie dal padre di prendersi cura della madre. È un mondo povero, ma senza lamento. Parlano le immagini, bellissime, della famiglia Graziadei: sette figli di ogni età, una madre che ha partorito dieci volte e una zia materna. Ogni mattina tante manine porgono le ciotole, ma il latte della mucca non riesce a colmarle. A sconvolgere la staticità di quelle vite sempre uguali è Pietro: un giovane disertore siciliano che ha salvato Attilio, nipote dei Graziadei, anch’egli in fuga. I due stentano a parlarsi, ostacolati dai diversi dialetti, ma si capiscono perfettamente grazie a ciò che hanno condiviso. Pietro se l’è portato sulle spalle, Attilio, e la famiglia Graziadei gli è riconoscente, lo fa nascondere presso una malga e lo protegge. Graziadei e la moglie Adele si vogliono bene, vivono con tenerezza e solidarietà i lutti, discutono sulla povertà, e si confrontano su quale dei figli far studiare, dovendo necessariamente scegliere, pur sapendo di commettere un’ingiustizia. Nel frattempo, Pietro e la bella Lucia, la primogenita dei Graziadei, si innamorano e la loro storia si avvia a una svolta inattesa. Il ritmo è lento e la trama essenziale, incentrata sulla vita interiore dei protagonisti e sulla loro scelta di subire o cambiare il proprio destino. La narrazione si svolge nell’arco di un anno: il ghiaccio si scioglie, scorrono i ruscelli, e la natura torna a fiorire. Si tratta di trasformazioni lente e silenziose di vite semplici, accompagnate dalle note suggestive di Vivaldi. A poco a poco, mentre la neve cede il passo ai primi germogli, lospettatore avverte che quel piccolo mondo sta cambiando. La guerra si allontana, lasciando dietro di sé ferite indelebili, e Vermiglio diventa una realtà sempre più familiare. L’opera di Maura Delpero ha questo di straordinario e speciale: propone immagini, valori e discorsi lontani nel tempo, ma che sentiamo ancora nostri perché arrivano da lontano, dalle narrazioni dei nonni e da chi c’è stato prima di loro. Storie piccole, che non fanno “la storia”, ma che fanno parte della memoria collettiva.
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