Non è solo un Teatro d’Opera, da quando al Regio di Torino è arrivato il parigino Mathieu Jouvin, è diventato un luogo di socialità, di incontri: nel foyer, nella sala del Toro e nella saletta del Caminetto si parla, si discute di musica, della città, dei suoi protagonisti. Una scelta di cartellone poi coraggiosa, perché classica, in un momento in cui la trasgressione è essere moderati. Non stravolgimenti scenografici ma veri fondali come quadri d’autore e costumi così eleganti che potrebbero essere indossati nella vita reale. L’invito ad un abbigliamento consono lanciato dal Soprintendente, da me più volte incoraggiato, però non avuto gran seguito in una città che vantava il primato del buon gusto; accanto agli smoking, si vedono uomini settantenni, quelli che io definisco “i reduci del ’68”, in maglione e jeans. Più rispetto sembrano avere i giovani che si sono avvicinati alla Lirica ed al Balletto da quando è arrivato Jouvin, sold out il balletto di Roberto Bolle, la star nostrana che è diventata patrimonio del mondo.
In effetti a Torino i luoghi di socialità sono scarsi, a parte i circoli un pò fané, come quello degli Ufficiali, che ha delegato ahimé la gestione degli Eventi ad una cooperativa esterna, quello della Stampa, che ha perso la sede più smagliante, il ritrovo dell’Unione industriale che é, Sale Auliche a parte, un dopolavoro ed il sempre splendido circolo del Whist, con poche, sporadiche iniziative aperte. C’è poi il Circolo dei Lettori, più che altro luogo di conferenze che di incontri e che prese il posto del Circolo degli Artisti oltre le varie Società canotttieri in riva al Po.
Ci sono poi i luoghi dove si trovano i vari “Amici di..” da Villa della Regina all’Egizio, di cui il piu fecondo di iniziative è quello di Palazzo Reale, complice anche la varietà di sale storiche alcunecresrsuratece riaperte. In una città poco propensa ad aprire le proprie case, chiusa in sé stessa, questi luoghi Regio, Teatro Carignano Musei Reali, con la splendida caffetteria, ora in restauro, sono il presidio di vitalità in una Torino orfana del suo passato sabaudo ma che fa di tutto, scioccamente, per scrollarselo addosso, non avendo il coraggio di cambiare però la toponomastica, i nomi ad edifici, monumenti, di imporre ai libri scolastici la “damnatio memoriae”, come magari qualcuno avrebbe desiderato.
La Storia non si cancella e va vissuta nei luoghi che la ricordano, dal Teatro Regio, ai Musei Reali, a Venaria Reale, magari insieme agli amici.