Interno cucina, genitori e figli riuniti a colazione davanti al caffè fumante. È il rituale dell’inizio di una giornata come tante: tempi scanditi, chi pronto per andare al lavoro, chi a scuola. La madre si alza, strappa la pagina di agosto dal calendario e, all’improvviso, esclama: “settembre! Settembre andiamo…”. Un’altra voce sembra cogliere al volo quei punti sospesi nell’aria: “È tempo di migrare…”. E così altre voci proseguono: “Ora in terra d’Abruzzo i miei pastori…” e poi, tutti insieme, a cantilena: “Lascian gli stazzi e vanno verso il mare!”. Sguardi stupiti si incrociano con sorrisi e una certa dolcezza. Generazioni diverse che si sorprendono a recitare la stessa poesia, imparata sui banchi di scuola: un’esperienza inattesa che unisce attraverso il tempo.
Così può irrompere la poesia nella tua vita, quando meno te l’aspetti. Una sensazione magica, un frammento di bellezza, un barlume istantaneo che può illuminarti l’anima. Ci sono ricordi che forse non sapevamo di avere, parole su cui non eravamo (e probabilmente non saremmo mai stati) più tornati, se non fosse stato per quella scintilla che li ha riaccesi.

LE POESIE IMPARATE A SCUOLA
Questo esempio evoca un’esperienza che certamente molti di noi hanno vissuto o vivranno: il riaccostarsi, in qualche modo casuale, alle poesie studiate a scuola, e riceverne sensazioni nuove, sorprendenti, sicuramente diverse da quelle che avevamo provato da bambini o adolescenti. Di questo parla Paolo di Paolo nel suo splendido saggio Rimembri ancora (Il Mulino, 2024). Un titolo che non potrebbe essere più azzeccato, perché si propone di spiegare “perché amare da grandi le poesie studiate a scuola”. L’autore, eccellente scrittore e finalista al Premio Strega quest’anno, riesce nell’intento. Fin dalle prime righe, è chiaro quanto possa essere struggente, diverso e illuminante rileggere, a distanza di anni, certe strofe che avevamo studiato (forse anche controvoglia), dopo aver vissuto molte esperienze e con una diversa maturità.
Un tempo, le poesie si imparavano a memoria sui banchi di scuola. Alcune di queste, “antologizzate” per molti anni, sono diventate patrimonio della memoria di diverse generazioni di studenti. Pastori di d’Annunzio, ad esempio, oppure I sepolcri di Foscolo, o la struggente narrazione della notte di San Lorenzo di Pascoli, quando il padre venne ucciso e non fece ritorno a casa, dove lo attendevano i suoi cari. La metafora della rondine che torna a portare il cibo ai suoi rondinini, o quella del padre che tornava al “suo nido… nell’ombra che attende, che pigola sempre più piano” sono nell’immaginario collettivo di generazioni di italiani. Così come la visione del verde melograno dai bei vermigli fior di Pianto antico di Carducci, lo sguardo verso l’infinito di Leopardi da “quest’ermo colle”, o ancora le chiare, fresche, dolci acque di Petrarca. Questi sono solo alcuni degli esempi che l’autore cita. Al contempo, ci rinnovano immagini dei nostri pensieri di allora, trasmettendoci anche la musicalità, il ritmo, le pause e le ripetizioni delle strofe, che cercavamo di memorizzare da ragazzi.

UN INTERESSANTE ESPERIMENTO ALLA RICERCA DELLA POESIA
Nella preparazione del libro, Paolo di Paolo ha voluto sperimentare se esista un sentimento comune di affetto verso la poesia studiata sui banchi di scuola, se il ricordo di certe antiche strofe sia rimasto nella memoria collettiva. Ha percorso le città, interrogando passanti, entrando nelle botteghe, intervistando artigiani, baristi, fiorai, barbieri, mercanti e clienti: persone di ogni età, cultura e professione. Il risultato è stato sorprendente: molti conservano ricordi che forse neppure pensavano di avere, o ai quali non sarebbero tornati senza quella scintilla di sollecitazione, un innesco dato dall’incipit. E così, con un misto di struggimento e un sorriso di orgoglio, ritorna alla memoria la cavallina storna, il “mortal sospiro” di Napoleone descritto dal Manzoni, il “m’illumino d’immenso” della Mattina di Ungaretti (la poesia italiana più breve e intensa). E ancora: la sensazione di attesa dello staccarsi delle foglie “come d’autunno sugli alberi” in Soldati, e quell’autunno che “già lo sentimmo venire nel vento d’agosto” di Cardarelli, in una delle poesie più amate per allenare gli scolari al ritmo delle stagioni. E quanti ricordano la donzelletta con in mano le rose e le viole o le tre casettine dai tetti aguzzi e l’esiguo ruscello: Rio Bo.

POESIA E MEMORIA INVOLONTARIA
La poesia in rima e la musicalità della cantilena facilitano la memoria. È bello poter ricordare nel tempo, avere tanta bellezza sempre con sé – “a portata di mano”. Di Paolo parla di memoria prensile e ricorda la brillante performance di Fiorello che, qualche anno fa, mise in musica San Martino di Carducci. Cantandola e ballandola a ritmo pop, Fiorello riuscì a restituire freschezza a quel “testo quasi usurato dalla ripetizione”, trasformandolo in un grande successo tra i giovani e rinnovando il ricordo ai più anziani.

RIACCOSTARSI ALLA POESIA
Si può provare a leggere un testo, che era rimasto nel “bagaglio” dei ricordi di scuola, come se fosse la prima volta? Di Paolo ci risponde di sì. Anzi, ci esorta a farlo, perché “guadagnata l’esperienza di cui da bambini e adolescenti non si dispone, una poesia che sembrava suonare a vuoto” potrebbe acquisire un altro senso, completarsi in noi e diventare “finalmente e interamente leggibile”.A cosa serve leggere poesia? “Il fatto è che ‘servire’ non è il verbo giusto”, ci risponde lo scrittore, perché questa espressione “rinvia a una ragion pratica fin troppo pratica, utilitaristica, monetaria”. Tuttavia, è importante leggerla, perché, attraverso le antologie, incontriamo i poeti: “gente che, senza l’occasione scolastica, non avremmo mai incontrato. Persone molto lontane, diverse da noi, che ci raccontano storie e stati d’animo, rispondono a domande che non avremmo mai il coraggio di rivolgere a qualcuno in carne e ossa”. E ci fanno fermare a riflettere, a concentrarci sulle parole che hanno scelto e valorizzato come pietre preziose, sotto una nuova luce. Le hanno messe in una certa sequenza, scandendo “un certo ritmo” attraverso “gli a capo”, le pause, le ripetizioni. Hanno fatto scelte “di natura musicale”, capaci di sottrarre “il lessico alla lingua trita della comunicazione”; hanno scritto “preghiere laiche” capaci di parlare all’anima.

POESIA CHE APRE VARCHI
Di Paolo ci dice che, talvolta, una poesia letta ad alta voce può provocare emozioni impreviste, perché “apre varchi insoliti, ci scuote come può farlo una canzone”. Del resto, la poesia e la musica sono vicinissime e capaci di estraniarci momentaneamente dalle urgenze quotidiane, portandoci in un “altrove” fatto di pochi attimi preziosi e rigeneranti. “Leggere, qualche volta, è come uscire la sera e rientrare a notte fonda, avendo addosso come una scia di fumo, una serie di emozioni nuove, inattese… Lo spazio davanti ai nostri occhi si allarga incredibilmente, caricandosi di possibilità”, scrive di Paolo. E noi capiamo che ha ragione. Leggere infatti “serve a immaginare”: ad incontrare altre persone con i loro pensieri, più di quante ne potremmo incontrare nella vita reale, a “lasciarci toccare da queste esperienze”, a “lasciarle depositare in noi”. È così che la poesia dà tempo al tempo: crea “attimi che rinascono, dilatandosi a dismisura”.

UN SAGGIO PREZIOSISSIMO
Questo libro propone poesie. Ma prima le spiega, le illumina anche attraverso il racconto delle vite dei poeti che le hanno scritte, delle quotidianità, dei grandi drammi e delle piccole o meschine traversìe. Mette in relazione il loro diverso modo di guardare gli stessi aspetti della vita e coglie il loro passarsi il testimone, come seguendo un flusso continuo di sapienza e bellezza.
Un libro così prezioso era necessario.