“Il potere logora … chi non ce l’ha!” Così concluse un noto uomo politico italiano, dando un senso nuovo a una battuta che sembrava di per sé già conclusa. A tutta prima si può intendere che l’uomo di potere è invidiato da chi vorrebbe contare quanto lui, desiderando di occupare il suo posto.

Io credo però che la battuta, che alcuni attribuiscono al diplomatico francese – vero mago della politica internazionale – che fu ai suoi tempi Charles Maurice de Talleyrand, potesse avere ancora nel primo Ottocento questo preciso significato, quando a seguire la cronaca politica erano le persone che ne conoscevano i segreti. Oggi può acquistare altre sfumature. 

Io credo che Giulio Andreotti, che rinverdì la battuta di Talleyrand, qualunque cosa voglia dirsi di lui, si guadagnò la considerazione di tanti italiani essenzialmente perché sapeva muoversi e darsi da fare. Merito che purtroppo non hanno tutti gli uomini politici. Sicché la conclusione che “il potere logora … chi non ce l’ha” può significare ai miei occhi che non basta conquistare una poltrona per dire che si ha potere. Il potere, specie in una democrazia, appartiene alla persona che su quella poltrona si sente come a casa sua, sapendo acquistare in poco tempo familiarità con i difficili ma intriganti giochi del potere. Se non ha una grande vocazione, ha comunque il talento necessario.

In altri termini, lasciando la metafora alquanto volgaruccia dell’accomodarsi in poltrona per quella più nobile del salire in sella, sulla sella poi si deve saper rimanere, senza finire a gambe all’aria. Il punto è che sono tanti a non sapersi regolare col “potere”. Fanno di tutto per arrivare in alto e dopo poco cominciano a dare segni di impazienza e di nervosismo, dovuti al timore di non farcela. E cominciano a sbagliare. Qualcuno colleziona toppe abilmente rimediate, ma che purtroppo toppe sono e toppe restano, altri crollano miseramente alle prime difficoltà.

Questa sorta di divinità pagana, che è il potere, montalianamente incline a corrucciarsi, non va confusa con l’apparato esteriore che attorno ad essa s’è costruito. La democrazia ha cancellato troni, scettri e corone, mettendo a nudo realtà che non tutti vogliono vedere, a cominciare dal fatto che il potere, per quanto frammentato nelle tre storiche funzioni individuate da Montesquieu (quella esecutiva, quella legislativa e quella giudiziaria), tuttavia esiste e non è incline a farsi né vendere né comprare. Quando questo succede, il potere scalpita reclamando il diritto d’essere umilmente servito da chi vorrebbe avvalersene. I “politici” che queste cose ignorano si scontrano allora con una realtà che ha risorse ed energie inaspettate.

Il fatto è che, piaccia o non piaccia, il principe di machiavellica memoria non c’è più. Lo stato democratico moderno lo ha mandato in pensione. Il fatto che il mito sia rimasto dice soltanto che questo pensionamento è stato agli occhi di qualcuno un po’ affrettato, tanto da somigliare a un licenziamento con un tfr. decisamente più modesto rispetto alle aspettative. Personalmente ritengo che ci sia poco da protestare da parte di chi aveva in realtà abusato del potere. Oggi nessuno più è “legibus solutus”, sciolto cioè dall’obbligo di rispettare la legge, perché la “Legge è uguale per tutti”, principio base di tutti gli ordinamenti giuridici di ispirazione democratica.     

Il pensiero che in alcuni politici si indovina, e che è veramente angoscioso, si dice in due parole “E poi, che faccio?”. Il timore di perdere in poco tempo il potere che s’era tanto desiderato, e che si sente sfuggire di mano, fa pensare con orrore a una vita grigia e modesta alla quale bisognerà tornare, se non si fa qualcosa. E ci si dà da fare a costruirsi un futuro, per scoprire che è tardi e che, a dirla tutta, gli impegni di governo sono tali da non dare spazio a un’esigenza che si avverte sempre più pressante, scoprendo che a certe cose si sarebbe dovuto pensare per tempo. A questo punto il potere inesorabilmente logora perché non consiste nel disporre dell’auto di servizio, con tanto di scorta, a tutte le ore del giorno, o nell’essere riveriti a destra e a manca da quanti ti incontrano e si affrettano a salutarti con atteggiamento servizievole. Chi ha confidenza col potere sa stare tra la gente, è disinvolto, cordiale, sa infondere fiducia. Perché, sebbene si trovi a piedi, la pubblica opinione lo vede in sella a un cavallo di razza ridotto all’obbedienza da una mano esperta e amica.

Si scopre allora che il potere, nelle democrazie in crisi, ha preferito lasciare i Palazzi per andare a cercare altrove chi sappia interpretarne l’indole, spostando il timone nella giusta direzione. Attraversa le piazze creando scompiglio, si siede nei bar e nei caffè dove nessuno lo riconosce, ma alla fine troverà chi sappia docilmente e pazientemente accontentarlo, rimettendo – si spera – le cose al loro posto.

Il potere non logora chi ce l’ha.