A quattrocento anni dalla sua nascita in Italia, il Belcanto, che ci rende riconoscibili nel mondo, è diventato ufficialmente Patrimonio dell’Umanità. Il Comitato Intergovernativo dell’UNESCO, riunito il 6 dicembre 2023, ha iscritto “La pratica del canto lirico in Italia” nella Lista Rappresentativa del Patrimonio Culturale Immateriale. La proclamazione è avvenuta per acclamazione, in occasione della riunione dei Paesi membri dell’Intergovernmental Committee for the Safeguarding of the Intangible Cultural Heritage of UNESCO in Botswana.
Secondo la definizione dell’UNESCO, per “beni immateriali” si intendono «l’insieme delle tradizioni, espressioni orali, arti dello spettacolo, rituali, eventi festivi, artigianato, pratiche agricole tradizionali che sono espressione vivente dell’identità della comunità e delle popolazioni che in esse si riconoscono». Il Canto Lirico Italiano, grazie alla sua storia plurisecolare, va ad aggiungersi così alle altre “tradizioni vive” (16 in Italia) come il Teatro dei Pupi, i Tenores sardi e la liuteria di Cremona, e l’Italia conta ora 19 elementi nelle Liste del Patrimonio Culturale Immateriale.
Per la sua capacità, sin dalla nascita, di esprimere ed enfatizzare le emozioni umane e di rappresentare l’identità culturale italiana in tutta la sua ricchezza, l’arte del “Recitar cantando” – o Belcanto, Melodramma, Opera Lirica, tutte definizioni che indicano un genere nato e sviluppatosi in Italia, che per questo possiede il maggior numero di teatri d’opera al mondo e ed è universalmente considerata la patria dell’Opera (e Opera è il termine italiano usato in tutto il mondo per un genere teatrale in cui la recitazione, la musica e il canto si fondono insieme) – è finalmente nella lista dei beni culturali da tutelare.
Il riconoscimento – spiega una nota del WTE (World Tourism Event) – è giunto dopo oltre dieci anni di lavoro da parte del Ministero dei Beni Culturali e del Comitato per la Salvaguardia dell’Arte del Canto Lirico Italiano, che riunisce ANFOLS, i Teatri Italiani di tradizione ATIT, la Fondazione Teatro alla Scala, l’Accademia di Santa Cecilia, Assolirica, oltre a numerosi esperti. «Con l’iscrizione nella Lista dei beni immateriali dell’Umanità, viene riconosciuto a questo bene il ruolo di catalizzatore di tradizioni, abilità, arti, ovvero patrimoni materiali e immateriali d’importanza fondamentale per il nostro Paese e la capacità di rappresentare l’identità culturale italiana in tutta la sua ricchezza e bellezza», ha commentato Federico Domenico Eraldo Sacchi, presidente del Comitato per la Salvaguardia dell’Arte del Canto Lirico Italiano, che contempla nel suo organico le massime realtà istituzionali della lirica italiana, come la Fondazione Teatro alla Scala, l’Accademia di Santa Cecilia, Assolirica, la Fondazione Rossini di Pesaro, l’Istituto di Studi Verdiani, il Centro Studi Pucciniani, la Fondazione Cini, l’Archivio Ricordi, così come insigni esperti rappresentativi della comunità dell’arte del Canto Lirico in Italia (come Marco Tutino, compositore tra i capifila del Comitato). Tra questi vi è anche la già citata ANFOLS (Associazione Nazionale Fondazioni Lirico-Sinfoniche), alla quale appartiene la Fondazione Arena di Verona, la cui sovrintendente Cecilia Gasdia ha sottolineato: «Questo riconoscimento è il culmine di un lungo percorso che ha come obiettivo la salvaguardia e la diffusione dell’arte del Canto Lirico, un patrimonio immateriale che nasce con il “Recitar cantando” più di 400 anni fa e che si è evoluto fino ad oggi grazie a grandi compositori, librettisti, artisti, cantanti, musicisti ed insegnanti che hanno creato, creano e creeranno capolavori».
Il Ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano ha rilevato che: «Una grande eccellenza della nostra nazione ottiene un alto riconoscimento dall’UNESCO, entrando a far parte del patrimonio immateriale. Si tratta di una consacrazione ufficiale di quello che già sapevamo: il Canto lirico è un’eccellenza mondiale, tra quelle che meglio ci rappresentano in tutto il pianeta».
E “Visse d’arte” Giacomo Puccini, di cui ricorre quest’anno il centenario della scomparsa, avvenuta a Bruxelles il 29 novembre 1924: con Puccini il melodramma italiano assunse una dimensione internazionale ed europea.
Epicentro delle celebrazioni promosse per ricordare l’eccelso compositore è Torre del Lago, il paese toscano in cui il maestro trascorse oltre vent’anni della sua vita. Tanti eventi sono stati organizzati in tutta la Penisola, tra incontri, mostre e presentazioni di libri.
Per commemorare uno dei più grandi compositori della storia, la casa editrice Marlin di Sante e Mario Avagliano ha portato in Italia “Il mistero di Puccini” della pluripremiata scrittrice argentina Liliana Bellone, tradotto dalla professoressa Maria Gabriella Dionisi. Il romanzo affronta un aspetto poco noto della grande famiglia Puccini: la breve esperienza umana e lavorativa di Michele – fratello minore di Giacomo – che, dopo anni di studio nel Conservatorio di Milano, nel 1889 decise di emigrare oltreoceano in cerca della propria identità e di un suo personale riconoscimento in campo musicale e visse a San Salvador de Jujuy insegnando musica e italiano. «In Italia la storia della sua breve vita – spiega Maria Gabriella Dionisi, docente di Letterature ispano-americane all’Università della Tuscia di Viterbo – con alcune varianti proposte nel corso dei decenni e alimentate dall’assenza iniziale di dati certi, è rimasta relegata nel cono d’ombra di quella ben più lunga e fortunata del fratello Giacomo. Nelle biografie dedicate a quest’ultimo viene spesso sintetizzata in pochi paragrafi, al massimo in un capitolo, eppure la presenza di Michele nella vita dell’autore de La Bohème, Tosca, Turandot, solo per citarne alcune, non è stata marginale, come è possibile evincere dalla corrispondenza intercorsa tra loro».